Quando nel 2007 uscì nei cinema Into The Wild, film scritto e diretto da Sean Penn con Emile Hirsch nel ruolo di Christopher McCandless, la frase finale della didascalia in apertura fece breccia nel cuore di ogni abbraccia-alberi: "non amo l’uomo di meno, ma la natura di più". Il verso, tratto da un poema di Lord Byron, ci pone di fronte al solito bivio dualistico: uomo o natura? Byron è schierato, ma voi lo siete? Per fare luce sulla vicenda, chiamiamo in causa uno dei più grandi personaggi a cui la letteratura mondiale abbia mai dato vita.
Ovviamente sto parlando di Lucas, immortale protagonista della raccolta di racconti (sempre che sia lecito definirla così) Un tal Lucas dello scrittore argentino Julio Cortázar. Riassumere in poche righe l’eclettica personalità di Lucas è impresa impossibile, per cui passerò subito al capitolo dedicato al rapporto uomo-natura, il cui titolo è Lucas, le sue meditazioni ecologiche. L’arringa è lunga un paio di pagine e, come tutte le altri presenti in questa fantastica raccolta, provoca nel lettore un turbolento mescolarsi di emozioni: dalla gioia alla sorpresa, dal piacere alla confusione; il tutto amalgamato dalla prosa funambolica di Cortázar.
Lucas, armato del suo inossidabile cinismo, ci spiega perché si schieri contro tutti gli inguaribili romantici del calibro di Byron, chiedendo a gran voce la vittoria dell’uomo sulla natura, dell’arte sul paesaggio e della città sulla campagna. Al diavolo ogni boy-scout, per Lucas l’amore per la natura è soltanto maschera e travestimento. L’uomo civilizzato vede e utilizza il mondo naturale come distrazione momentanea, contento di poter tornare alle proprie abitudini e ai propri agi al termine di una scampagnata. Anche l’intellettuale, conclude Lucas, visita la campagna come turista soltanto durante i momenti di magra ispirazione o fra un lavoro e il successivo. Colline e tramonti, sottolinea il protagonista, sono le cose più ripetute al mondo. Perché stupirsene? Non amo la natura di meno, ma la letteratura di più, sembra dire Lucas.
Non troverai mai uno scenario naturale che resista più di cinque minuti a una contemplazione impegnata, mentre invece sentirai abolirsi il tempo nella lettura di Teocrito o di Keats, soprattutto nei brani dove compaiono scenari naturali.
Cosicché il mondo si spacca: da una parte gli indomiti amanti delle terre selvagge, dall’altra i civilizzati, chini sui libri e immersi nelle città. Ma la spaccatura è davvero così netta? Non lo è, perché sia Byron che Cortázar ci ricordano l’importanza dell’uomo nel rapporto che egli ha con la natura, con l’ambiente di cui fa parte. La chiave siamo proprio noi. Spesso dimentichiamo che i problemi non sono naturali o ambientali, ma sono umani. Sono nostri. Siamo causa e al tempo stesso vittime del nostro agire; siamo un branco di autolesionisti. Il nostro pianeta esiste da miliardi di anni e se qualche parametro cambierà in futuro (qualche grado in più di temperatura, ad esempio), alla Terra non importerà granché, perché di estinzioni ne ha già viste tante. Siamo noi che dovremo adattarci. Quindi amiamo la natura come fa Byron, ma teniamo presente che per salvarla occorre che l’uomo si guardi allo specchio e capisca cosa c’è che non va. Non credo che al mondo esista specchio migliore di un libro. Che parli di uomo o di natura, fa poca differenza. Lì dentro, possiamo trovare solo salvezza.
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Un tal Lucas, edito da Einaudi nella raccolta I racconti.
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