Ha suscitato grande entusiasmo la lista dei dieci candidati all’edizione 2015 del Man Booker International Prize, prestigioso premio assegnato ogni due anni a un autore vivente che abbia pubblicato in lingua inglese o le cui opere siano disponibili in traduzione. Giusto per farci un’idea, tra gli scrittori a noi più noti che hanno avuto la fortuna di inserire questo riconoscimento in curriculum ricordiamo la canadese Alice Munro nel 2009 e i nordamericani Philip Roth e Lydia Davis, rispettivamente nel 2011 e nel 2013.
Annunciata il 24 marzo presso l’Università di Città del Capo, la rosa di quest’anno sembra presentarsi come una valorizzazione senza precedenti della multiculturalità alla base dell’evento. Tra gli otto contendenti “in traduzione”, ben sei appartengono a nazionalità che finora non erano mai state incluse tra i finalisti: dal Guadalupe, rappresentato da Maryse Condé, all’Ungheria di László Krasznahorka, passando per il franco-congolese Alain Mabanckou e la sudafricana Marlene van Niekerk, il premio riserverà ai lettori «una straordinaria varietà di esperienze», una visione d’insieme che spazia al mondo intero, come ha sottolineato il presidente della giuria Marina Warner.
Una prospettiva che fa rimpiangere meno l’assenza di Murakami, così come quella del norvegese Karl Ove Knausgård (denigrato in patria ma di grande successo in America), e persino quella del famigerato Go Set a Watchman di Harper Lee, nonostante i bookmaker lo avessero già collocato sul podio.
Edwin Frank, direttore editoriale del New York Review Classics e membro della giuria, ha affermato:
Sarebbe presuntuoso dire che abbiamo voluto valutare il mondo, ma sicuramente abbiamo cercato di prendere coscienza di una parte più ampia del mondo della letteratura […] soprattutto di quella araba, che è ancora tristemente sottorappresentata in inglese.
A suo parere, inoltre, si tratta di un buon momento per i libri tradotti da altre lingue anche e soprattutto grazie al lavoro di numerosi piccoli editori attenti al panorama internazionale, come l’inglese And Other Stories, che stanno cominciando ad allargare gli orizzonti.
Tutti questi elementi hanno contribuito a consolidare l’opinione, condivisa dai giurati, che il romanzo stia attraversando una stagione particolarmente prolifica, «come campo di indagine, tribunale della storia, mappa del cuore, sonda della psiche, stimolo al pensiero, pozzo di piacere e laboratorio linguistico» continua Warner. «Ci sentiamo più vicini all’albero della conoscenza».
In effetti, a parte l’indiano Amitav Ghosh, la quasi totalità dei nomi in lizza risulta del tutto sconosciuta al pubblico di lingua inglese, nonostante il loro valore nelle culture locali — dalle fiabe del deserto di Ibrahim al-Koni in arabo ai classici caraibici di Maryse Condé in francese. «È bello vedere che gli scrittori si stanno spingendo oltre i confini delle loro lingue», si è rallegrata la critica Maya Jaggi, elogiando così i meriti di questa edizione.
Il Man Booker International Prize è attribuito sulla base del maggior successo narrativo. Gli autori non possono essere proposti dalle proprie case editrici, e la decisione finale spetta unicamente alla giuria, coadiuvata dai predecessori. Il 19 maggio a Londra verrà assegnato il premio del valore di 60.000 Sterline al vincitore che, qualora si tratti di un autore tradotto, potrà indicare un suo traduttore in lingua inglese al fine di concedergli la quota aggiuntiva di 15.000 sterline.
Di seguito la lista completa dei candidati:
• César Aira (Argentina)
• Hoda Barakat (Lebanon)
• Maryse Condé (Guadeloupe)
• Mia Couto (Mozambique)
• Amitav Ghosh (India)
• Fanny Howe (US)
• Ibrahim Al-Koni (Libya)
• László Krasznahorkai (Hungary)
• Alain Mabanckou (The Republic of the Congo)
• Marlene van Niekerk (South Africa)
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