Un paio di eventi hanno fatto sì che recentemente abbiate sentito parlare di Salinger più o meno ovunque.
Il primo è la pubblicazione di una monumentale biografia sull’autore – insieme ad una versione cinematografica a metà tra thriller e documentario, Salinger (il mistero del Giovane Holden) distribuita da Feltrinelli Editore e Nexo Digital – uscita in Italia a maggio per Isbn Edizioni con il titolo Salinger. La guerra privata di uno scrittore, frutto di nove anni di lavoro da parte del critico letterario David Shields e dello sceneggiatore cinematografico Shane Salerno.
Il secondo evento, questo solo italiano, è stato la pubblicazione nel 2014 di una nuova traduzione de Il Giovane Holden a cura di Matteo Colombo per Einaudi, a distanza da quarant’anni dalla prima edizione italiana con la traduzione di Adriana Motti, versione nella quale Holden è diventato un’icona per molte generazioni di ragazzi italiani.
Ma l’attenzione verso lo scrittore non si è mai sopita, nonostante (o forse anche grazie a) la sua volontaria reclusione nella casa di campagna nel New Hampshire, seguita alla pubblicazione e al successo straordinario del suo romanzo Il giovane Holden e durata fino alla sua morte nel 2010. Come è noto, non solo Salinger smise quasi completamente di rilasciare interviste o di frequentare la scena letteraria, ma dal 1965 non pubblicò più nulla (pur continuando a scrivere, motivo per cui sarebbe prevista tra il 2015 e il 2020 la pubblicazione di materiale inedito da parte della Fondazione Salinger).
Decenni di silenzio che non hanno cancellato l’interesse dei suoi fan nei suoi confronti. Se avessimo avuto bisogno di un’ulteriore dimostrazione di ciò, la troveremmo in un libro uscito a giungo per Knopf dal titolo My Salinger Year firmato da Joanna Rakoff. L’autrice racconta di quando, appena ventitreenne, fresca di laurea e ansiosa di realizzare il suo sogno di diventare poetessa, cominciò a lavorare in un ufficio di NY, che chiama genericamente the agency, come assistente personale dell’agente letterario di Salinger. Anche se l’autrice non fa nomi, non è difficile risalire alla Harold Ober Associates e a Phyllis Westberg, che aveva da alcuni anni preso il posto della storica agente di Salinger, Dorothy Olding.
Parte del lavoro della Rakoff era di leggere le pile di lettere che Salinger riceveva quotidianamente dai suoi fan. Non che ci fosse un interesse particolare verso quelle lettere, dato che Salinger aveva dato precise disposizioni che non gli venissero recapitate, ma un paio di episodi passati della cronaca americana – l’assassinio di John Lennon da parte di Mark David Chapman nel 1980 e l’attentato a Ronald Reagan nel 1981 per mano di John Hinckley Jr., entrambi dichiaratisi ispirati dalla figura di Holden Caulfield e dal romanzo – aveva fatto sì che l’agenzia ritenesse prudente non ignorare le lettere dei suoi fan.
La Rakoff si trovò a lavorare in un ambiente che si era fermato nel tempo, dove non era mai entrato un computer e anche una fotocopiatrice era vista come qualcosa di nuovo. Le venne subito chiarito dal suo capo di non diffondere a nessuno e in nessun caso il numero di telefono o l’indirizzo di Salinger (chiamato confidenzialmente Jerry) e di non illudersi che avrebbe avuto qualche possibilità di diventargli amica (anche se in realtà la Rakoff ebbe un’occasione di parlare con il grande scrittore, ormai sordo, che si complimentò con lei per il fatto di essere una poetessa).
In una lunga intervista uscita su Salon, l’autrice del memoir racconta di come, dopo essere finita a lavorare per l’agente di Salinger senza mai aver letto nulla del celebre autore, lo abbia conosciuto attraverso le lettere piene di amore e di ammirazione dei suoi fan. La Rakoff rimase sconvolta nel leggere tutte quelle lettere, molte delle quali lunghe e personali, nelle quali i fan non si limitavano a esprimere la loro stima all’autore sul piano letterario, ma si sfogavano e raccontavano la loro vita. Lettere di persone che si trovavano ad affrontare momenti difficili, di ragazzi che non avevano amici, che non erano capiti da nessuno e che si sentivano come Holden o avrebbero voluto avere un amico come lui. All’inizio l’autrice trovò tutto ciò divertente, ma col passare dei mesi si rese conto di quanto Salinger rappresentasse un punto di riferimento importante nella vita di tante persone di tutto il mondo, come se conoscessero non solo il suo personaggio più famoso, ma l’autore stesso, e non avessero nessun altro con cui confidarsi a parte lui.
Un memoir che rappresenta un bella dimostrazione, se ce ne fosse stato bisogno, di come la letteratura e gli autori non rimangano nei libri, ma diventino in qualche modo parte della vita di chi li legge e li ama.
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