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George Sand, la ragazza in redingote

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Quello che mi è stato dato l'ho costruito io, da sola, con il mio lavoro

Esiste un'altra George della letteratura, un'altra dopo Eliot, sulla sponda opposta della Manica. Una ragazza francese in cui la tensione creativa trovò compimento più nell'arte della vita che della scrittura e che della scrittura fece, con umiltà e orgoglio insieme, lo strumento della propria indipendenza.

George Sand, nata Aurore Dupine il I Luglio del 1804 a Parigi da un nobile e una ragazza di umili origini, fu donna della ragione e non del sentimento: per quanto la mitologia letteraria ne abbia cannibalizzato la figura, presentandola ora come icona del femminismo, ora come personaggio romantico d'appendice per i suoi amori più o meno appassionati o scandalosi, come il legame con l'allegra e disperata Madame Dorval, e più o meno celebri (Chopin vi dice qualcosa?), ella volle schernirsi da ogni attribuzione indebita di etichette. Troppo arguta conoscitrice delle proprie ombre e dell'inutilità di ogni definizione per farsi icona, George ebbe chiara consapevolezza delle vacuità delle voci umane. Avvezza sin da bambina a un “regime di eclissi e di silenzio”, questa donna modernissima seppe affrancarsi dal destino di ereditiera e moglie per buttarsi a capofitto, ma sempre a occhi aperti, nel tumulto delle esperienze, della politica, della storia, seguendo un vago concetto di realizzazione del sé che la porterà a scrivere, senza averne avuto la sacra e originaria vocazione.

Nell'autobiografia Histoire de ma vie, scritta a cinquant'anni come una necessità di volgere uno sguardo analitico, terapeutico forse, alla ricerca dell'origine delle scelte, George ricorda l'epoca in cui, non ancora trentenne, lasciò il marito e un figlio nella tenuta di Nohant per vivere a Parigi dei propri mezzi:

Non avevo ancora rivelato a nessuno il mio pensiero (…) e, quando parlavo di scrivere, lo facevo ridendo e scherzando su questo progetto e su me stessa. E tuttavia mi spingeva una sorta di destino. Lo sentivo con chiarezza e mi ci gettai risolutamente: non un grande destino, ero troppo indipendente dalla mia fantasia per inseguire qualsivoglia ambizione, ma un destino di libertà morale e di isolamento poetico in una società alla quale chiedevo solo di ignorarmi, lasciandomi guadagnare senza essere schiava il mio pane quotidiano.

Ma la società non potè ignorarla. La ragazza di provincia Aurore, madre capace di lasciarsi assorbire nel sentimento dell'amore materno, si adatta in una mansarda, conosce l'impotenza che nella nostra società tutta produttiva l'assenza totale di denaro provoca. Si sente però ricca della capacità di analizzare i personaggi, ha ideali di giustizia sociale. Quasi non osa puntare le carte su un'inclinazione mai coltivata con costanza ma ha bisogno di denaro. Prima deve vivere, però: deve frequentare la società parigina e con quei pochi abiti scomodi da donna e col freddo è difficile. Perché non vestirsi da uomo? Divertente: c'è una bambina dentro di lei e camuffarsi, in fondo, si confà alla sua inclinazione di scivolare inosservata per poter osservare. Aurore diventa la ragazza in redingote. Frequenta i circoli mondani. Vive da monello e taglia i ponti con il passato, anche con il marito, non con i due figli, sui quali riversa in modo non equo tutte le sfumature dell'amore.

Aurore diventa George. Nel 1832 pubblica Indiana con lo pseudonimo di George Sand, escogitato per non creare imbarazzi in famiglia e per accontentare l'editore. Pubblica a ritmo sostenutissimo: sono storie di amori, di società (tra i tanti,  La petite Fadette, 1849) dove forse prevale l'idea sull'arte. Viene criticata ma letta. Le eroine dei suoi romanzi sono tutte facce del prisma che è la femminilità: sensuali, materne, appassionate, gelide.

S'innamora spesso, quasi con fame d'amore. Si misura con tutte le dimensioni della vita: sesso, maternità, amicizia, politica.

George Sand, che temette il buio dell'inconscio, ebbe il dono di sapersi tuffare nella primavera incosciente di un bambino: ”Amo le fantasticherie, la meditazione e il lavoro, ma, superata una certa misura, mi prende la tristezza (…). E io ho assolutamente bisogno di un'allegria sana e vera” perché “non sono né donna né uomo. Sono bambino”.

Morì a Nohant nel 1876, dopo aver amato e vissuto.

 

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