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Paolo Valentino | La lunghissima notte di Portospada

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Photocredit: vanity fair 

Caro lettore, scusa se mi rivolgo a te con questo appellativo confidenziale, ma voglio raccontarti un’avventura, un’avventura lunga 384 pagine, che si svolge tra mari, isole grandi e isole piccolissime, arrampicate su montagne e incursioni in profondissimi – e odorosissimi – boschi. Tutto comincia con la fuga di una gatta, Mela, e con la disperata ricerca che il suo padrone, il fioraio Giglio, opera per tutta la città e che coinvolge anche il giovane giornalista Biagio e il vecchio pirata Flink. Ma Mela finirà per incrociare anche la strada del temibilissimo e terribilissimo pirata stregato Nero de la Loha e della sua antica fiamma Jais.

copertina la lunghissima notte di portospada e1383096915135 Paolo Valentino | La lunghissima notte di PortospadaSe sei un ragazzo (vale anche per le ragazze, ovviamente) e hai voglia di leggere, questo romanzo ti soddisferà, se sei un genitore che ha un figlio lettore, hai trovato un buon regalo. Se invece hai poca voglia di leggere o hai un figlio che appartiene a questa che è ormai – e purtroppo – una maggioranza, allora forse hai trovato uno strumento per farlo avvicinare alla lettura, perché il romanzo di Paolo Valentino è scritto in maniera scorrevole e può essere un buon approccio alle lunghe storie, una versione maggiormente impegnativa rispetto ai libri di Geronimo Stilton ma che, al pari dei libri del famoso roditore, ha una grande carica fantastica.

Se stai pensando che uso un tono confidenziale e pacatamente enfatico, hai ragione, o almeno è questa la maniera con cui ho cercato di scrivere le righe precedenti, giusto per farti provare un po’ dello stile di Paolo Valentino (di cui puoi leggere qui l'intervista fatta con Finzioni). La caratteristica di questo romanzo è l’aria di avventura che vi si respira dentro, sì, ci sono dei maghi e delle streghe, e anche pirati maledetti sul genere di quelli de La maledizione della prima luna, ma è l’avventura di per sé stessa che è la protagonista del libro: è quella che vivono i vari personaggi, è quella che brama il cartografo Giacomo Ognimondo, e anche quella di cui hanno bisogno gli abitanti di Portospada per scuotersi dalla loro vita agiata e superficiale.

La lunghissima notte di Portospada è un romanzo per ragazzi e non fa nulla per nasconderlo, d’altronde perché dovrebbe? Questo genere di letteratura ha annoverato grandissimi interpreti da Mark Twain a Jules Verne al nostro Emilio Salgari, che con le loro storie hanno affascinato ragazzi appartenenti a secoli diversi.

Ultimamente sono saliti alla ribalta i romanzi del genere young adults, con le serie di Twilight e simili, ma non è con loro che si confronta questo romanzo, che si rivolge invece alle fasce d’età precedenti quelle che gli esperti chiamano dei kids (dai sette ai dieci anni) e dei tween (dagli undici ai tredici).

In conclusione una buona lettura per ragazzi, che potrebbe piacere anche a qualche adulto in astinenza.

Paolo Valentino, La lunghissima notte di Portospada, Lupo Editore, 2013.

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50 sfumature di herpes

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(Photocredit: Cakesdecor.com)

La cosa terribile di tutto ciò è che non si tratta affatto di un titolo acchiappa-click, bensì dell'amara, amarissima, verità: stando a un articolo apparso ieri sul Guardian, su numerose copie di 50 sfumature di grigio sarebbero state rilevate tracce di cocaina e di herpes. A darne la notizia, i ricercatori dell'Università Cattolica di Leuven, in Belgio, che hanno esaminato i volumi più richiesti della biblioteca di Anversa.

Il test ha passato in rassegna i dieci titoli maggiormente letti e prenotati della biblioteca, tra i quali figura per l'appunto il bestseller di E.L. James. Fortunatamente, stando a Jan Tygtat, professore di Tossicologia presso la suddetta università, le tracce rilevate sono in quantitativo insufficiente per risultare nocive sulla salute dei malcapitati lettori.

Le quantità rilevate non possono avere alcun effetto da un punto di vista farmacologico. Il vostro stato di coscienza e il comportamento non verranno alterati dalla lettura dei tomi.

Sarà, ma l'idea di avere a che fare con un volume "zozzone" – in tutti i sensi – un po' di schifo lo fa. Se poi volessimo lasciare da parte per un secondo lo sdegno, il collegamento tragicomico tra romanzo erotico ed herpes è inevitabile. Ad ogni modo, l'unica buona novella di questa faccenda è la seguente, ovvero che la quantità di agenti virali presenti nei libri presi in prestito dalle biblioteche non può contagiare né mettere a repentaglio la salute dell'uomo. Non è la prima volta, infatti, che sperimentazioni simili vengono portate avanti: già in passato, la rivista medica Journal of Clinical Epidemiology aveva indetto la ricerca Are public library books contaminated by bacteria?, rilevando per l'appunto che, per quanto riguarda i libri di biblioteca, non vi sono pericoli di contagio.

Dopo un'attenta consultazione, il DIRF (Dipartimento d'Igiene dei Redattori di Finzioni) ha voluto comunque stabilire qualche linea guida per un attento uso e "consumo" dei libri presi in prestito.

  • Lavatevi sempre le mani. Tantissimo. Va bene il comune sapone, ma se trovate acido muriatico è forse meglio.
  • La prossima volta che vi diranno che un libro fa schifo, chiedete «In che senso?» al vostro interlocutore.
  • Se proprio dovete fare zozzerie – parliamo del sesso, eh! Le droghe fanno male! – a questo punto fatele prima della lettura. O dopo. Oppure, se proprio volete dilettarvi in qualche altra attività perché siete stati ispirati da un libro, leggetevi, piuttosto, La fabbrica di cioccolato; così, alla peggio, ve la cavate con un po' di diarrea.

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A Bologna, laboratorio per creare eBook

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Photo credit: Il Gufo Rosa

Possibile che nell'Era di Internet, del digitale, del telelavoro, ancora capita di non poter partecipare al corso/conferenza/master/seduta spiritica che ci cambierebbe tutto, nelal vita e nel curriculum, perché si tiene in un'altra città?  In genere, i migliori corsi inerenti all'editoria digitale (o comunque quelli più in evidenza) si tengono a Milano o a Roma. il che significa che buona parte d'Italia è sistematicamente tagliata fuori. Sarebbe bello se l'e-News di oggi fosse su una rete capillare di corsi professionali sul digitale. Purtroppo non è così, ma perlomeno la location del prossimo corso di rilievo è Bologna: emiliani e romagnoli tutti, una possibilità anche per quei voi che non avrebbero avuto il becco per una trasferta.

Quintadicopertina ha organizzato, per il weekend del 18 e 19 Gennaio 2014, un corso intensivo per la creazione di eBook in EPUB 2. Non occorre avere conoscenze pregresse in materia di informatica per partecipare, nè avere un qualche tipo di qualifica professionale, solo che sappiate usare decentemente un computer e sappiate cos'è un eBook. Qui le info.

Il laboratorio, organizzato dalla genovese Quintadicopertina, sarà ospitato nelle sale di un Un Altro Studio, nel centro di Bologna, proprio nei pressi della celebre finestrella inaspettata sul canale. Non si terranno lezioni su InDesign nè su altri programmi di grafica, e neppure si illustrerà come creare eBook con Adobe (dalle stelle alle stalle): si apprenderà come creare ed impaginare un eBook EPUB 2 indipendentemente da formati proprietari, tramite linguaggi XHTML su CSS. Che non sono titoli di telefilm americani: il primo è un linguaggio di programmazione, il secondo è un foglio di stile. Ma ci sarà modo di imparare tutto.

Scopo del corso è consentire ai partecipanti di creare autonomamente un eBook, ma non è rivolto esclusiamente a scrittori e aspiranti tali, bensì anche a tutti quegli addetti ai lavori (tra cui i famosi asciugacodici) che desiderino approfondire la questione eBook ed affinare le proprie competenze. La partecipazione alle due-giorni ha un costo di € 320, ma occhio giovani: entro il 25 Novemrbe si paga meno.

Piccola e giuro breve digressione: investire nell'editoria digitale e tagliare un po' sulla carta, nonostante la filiera di produzione del libro si accorci incredibilmente, significa anche creare nuovi lavori e posti di lavoro. Impagnare un eBook non è il mestiere di un grafico, ma nemmeno ci si può affidare esclusivamente all'esperienza tradizionale pur ignorando i rudimenti dell'informaticam vulgaris: occorrono forse nuove figure professionali, in un settore del tutto nuovo, perché questo decolli davvero.

 

P.S. Il gufo che vedete nell'immagine in alto è il Gufo Rosa protagonista di una bella trilogia di ebook per bambini pubblicata da Siska Editore. Potete vedere il booktrailer del terzo capitolo in questa pagina!

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Walden e la crema d’autunno con topinambur, funghi, castagne e salvia

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Walden

Accompagnato dal suono croccante delle foglie sotto i miei piedi e fischiettando Field Song di Mark Lanegan, io, piccolo Uomo Senza Tonno, vago in un fitto bosco alla ricerca dell’ultimo ingrediente per la mia nuova elucubrazione gustativa quando, a un certo punto, sotto la suola delle scarpe avverto qualcosa di troppo duro. Non è una pietra. É una foglia di fico che chissà quale vento ha trasportato qui, perché si sa, il fico mica cresce nei boschi. Col timore che sollevando suddetta foglia possa sbucare il ramoscello di Adamo, mi faccio coraggio, sospiro e, toh!, cosa ti ci trovo sotto? Coperto da un timido strato di umido terriccio c’è una copia di Walden, ovvero vita nei boschi.

Chivalà! Una voce baritonale alle mie spalle, catarrosa come quella di William Elliott Whitmore.

Mo’ mi volto con un lieve cagotto e chi ti vedo? Noo, ma sei tu! L’Enrico Davide! Il Thoreau! Quello con la barba old dutch che ha scritto sto superlibro che ho appena trovato! Vieni qui e fatti abbracciare! Certo che ‘na lavatina te la potevi dare, puzzi come un sorcio. Ok che sono 178 anni che te ne stai qui nei boschi senza contatti umani, a mangiare da solo, a indignarti per l’avidità e la miseria spirituale dell’umanità, ma ti sei fatto una casetta con le tue mani, fattelo pure un deodorante. Nell'inciviltà, civilizzati almeno all'olfatto! Ops, scusa, non volevo offenderti, sono pur sempre un Uomo Senza Tonno del settore terziario avanzato che si lava le ascelle. Ma dimmi, Enrichetto, ‘zzo ci facevi qui alle mie spalle?

L'Enrico Davide mi racconta che mi stava seguendo da un pezzo, che quando non si immerge in indignate riflessioni sul deboscio dell'umanità perlustra il boschetto affinché nessuno s'avvicini alla sua mesta casetta sul lago. Siccome però l'ho riconosciuto e gli s'è gonfiato un tantino il petto d'orgoglio, gli sto simpatico e mi invita nella sua dimora. Io, di rimando, gli offro i miei servigi culinari, anche perché s'è ormai fatta l'ora di pranzo e ho pur sempre sta zuppa da cucinare.  

Bene, nella sua catapecchia l'Enrichetto non ha l'allaccio del gas. Enrì, accendi il fuoco con paglia e legna e dammi gli utensili. Sempre per favore. L’Enrichetto esegue e io mi metto all’opera per cucinargli una crema di topinambur con castagne tostate, funghi al rosmarino e salvia croccante. Oggi ti faccio mangiare da re!

Dal mio zainetto traboccante di roba raccolta a zonzo per il bel boschetto tiro fuori quel che mi serve. Preparo un brodo vegetale con cipolla e carote. Per ogni litro d’acqua, una cipolla e 3 carote. Faccio andare sul fuoco per una ragionevole mezz'ora. 

Pulisco alcuni topinambur raschiandoli con il coltello, non pelandoli, sono bitorzoluti quindi l’operazione si rivela abbastanza ostica. Taglio a cubetti e rosolo in una pentola con olio extra-vergine d’oliva. Verso il brodo vegetale con generosi e filantropici mestoli fino a coprire del tutto il topinamburissimo, che si cuocerà per bene finché il liquido non evaporerà del tutto.

Nel frattempo, prendo i funghi, sono dei prataioli, li pulisco lavandoli ed elimino la parte inferiore, quella zozza di terra. Taglio a listarelle e in una padella li rosolo con 4 rametti di rosmarino. Tolgo dal fuoco e aggiusto di sale. 

Passo alle castagne: le sbuccio, elimino la parte pelosetta, taglio a fettine non più spesse di mezzo centimetro e, dato che il buon Enrichetto c’ha un forno a legna, zac, le infilo lì e le faccio tostare per qualche minuto.

In una padella con altro olio extra-vergine invece depongo delle foglioline di salvia, che soffriggo finché non diventano croccanti.

Il topinambur è bello e sfatto, il brodo è evaporato, prendo il mio minipimer a batterie che sto pezzente di Enrichetto non c’ha neanche la corrente elettrica e lo frullo. Essendo ricco di amido, viene fuori una crema densa e che rendo sapida con un (bel) po’ di sale, dato che il topinambur tende al dolce. 

Posso comporre il mio quadretto preraffaellita nella ciotola di terracotta che il buon Enrichetto mi allunga con le sue mani luride e dalle unghie nere. Prima verso la crema di topinambur, sopra adagio i funghi al rosmarino e le castagne tostate, intorno recinto con le foglie di salvia croccante. Et voilà, la composizione è pronta. Enrichino, su, pappati sta cosa. 

Terminato il pasto, con il padrone del tugurio già satollo, metto lo zaino in spalla e annunzio al primo hipster della storia che me ne ritorno in città.

Uomo Senza Tonno: Vabbè, Enriché, io direi che è tutto.

Enrichetto: Come tutto? Non resti a farmi compagnia?

UST: Ma che compagnia, io c’ho da lavorare in città. Io produco, sono un uomo a una dimensione marcusiano, tu tieniti le tue menate sull’ecosostenibilità, stattene qui da solo a coltivare i tuoi fagioli, fai origami con le foglie di acero, trovati un passatempo. Insomma, fammi andare via.

E: Dici sul serio? Portami con te! La solitudine è orrenda se si trasforma in isolamento, questo lo sai?

UST: Eh, lo so ciccino, ma te l‘ho mica detto io di venire qua a ripudiare la civiltà? No. Levati di mezzo e non fare il piagnone.

E: Ti prego, portami con te, la solitudine mi affrange!

UST: Macchemmifregammé? In primis, devi lavarti con la soda caustica per toglierti sta puzza da sciacallo morto che c'hai addosso, poi forse ti ci potrei pure portare con me, ma è solo una vaga ipotesi. Enriché, hai rotto, ti saluto!

E: Dai, ti scongiuro, dopo tutti questi anni, il ritorno alla civiltà mi gioverebbe anche per vedere di nascosto l’effetto che fa! Vengo anch’io?

UST: No, Thoreau!

Stay tuna (ovviamente l'ho lasciato lì, nella sua capanna fetecchiona)

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Anche le groupie vanno al parco

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Photo Credit

La vita di madre è tanto emozionante quanto impegnativa. Vorresti buttarti sul divano a leggere Il lato positivo appena scaricato sul Kindle a soli Euro 1.99 (Salani Editore, 2013) e invece ti ritrovi a ubriacarti di musichette sciocche dei giochi della Chicco, una ripetitività interrotta soltanto dallo spostamento di quella levetta che fa magicamente parlare il giochino in inglese. Quella routine che ti entra nella testa al punto che, alla sera, ti domandi: "Ma i doppiatori dei giochi della Chicco saranno anche gli stessi di Fisher Price?".

Ma c'è anche il lato positivo (appunto) del momento del gioco con i propri figli: quando il tempo lo consente si va ai giardinetti! Basta ascoltare dieci volte di seguito la stessa canzoncina, finalmente si va un po' sullo scivolo (almeno una ventina di volte consecutive), un po' sull'altalena (almeno una ventina di volte consecutive), un po' sul cavalluccio (almeno una ventina di volte consecutive)… Ma anche al parco si possono verificare quegli eventi inaspettati che ti riportano nel mondo degli adulti. Perché tra i bambini urlanti e le madri isteriche, ci sono anche loro: le baby-sitter. 
Quelle giovani donne che si occupano spensierate dei bambini e, ignare dei pericoli presenti a ogni angolo dei giardini, non socializzano con le madri e sfoggiano quell'espressione da scazzo tipica di chi non vede l'ora che arrivi l'ora "x", mentre il marmocchio fa a botte con gli amichetti o si rotola nel fango giocando a pallone. La baby-sitter in questione si occupa di un bambino abbastanza grande da consentirle di stare seduta su una panchina e dedicarsi alla lettura: è la mia preda ideale.

sto con la band Anche le groupie vanno al parco

Mi avvicino alla sua zona impregnata di scazzo cosmico e rimango allibita da quella copertina così osè che non si addice al suo ruolo o, almeno, non dovrebbe. No, non sta leggendo Il diario di una tata, romanzo dal quale è stato tratto il divertente film con Scarlett Johansson, ma Sto con la band. Confessioni di una groupie di Pamela Des Barres (Ed. LIT – Libri in tasca, 2011) che, più che essere il diario di una povera nanny alle prese con ricchi e viziati poppanti, è piuttosto il racconto di una di quelle non così povere ragazze che amavano essere (alle) prese con ricche e viziate rock-star. 

Ed è così che la sfacciata baby-sitter diventa subito, nel mio immaginario, una di quelle che si vedono nei film americani: non quelle dei film horror che finiscono sgozzate in un secondo, ma quelle che, appena i genitori del bambino escono di casa, fanno entrare il fidanzato dal retro e iniziano a limonare secco sul divano (e poi magari finiscono anche sgozzate). E poi penso alla madre del bambino che non può che assumere le sembianze della mamma del ragazzino protagonista di Almost famous, quella fanatica cattolica convinta che il rock and roll sia la prova palese dell'esistenza del diavolo. Certamente non può che essere come lei.

Non ho neanche il tempo di dilungarmi su quanto sia bello fantasticare sulle persone e immaginare chi sono e cosa fanno nel privato, che mi sovviene subito un altro quesito esistenziale: "Ma stasera gli preparo la minestra o la pastina al sugo?".

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Travel guides are cool!

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50th Doctor Who

Mentre il Tardis si ferma per una visitina a Buckingham Palace, milioni di fan in tutto il mondo fanno il conto alla rovescia per sabato, quando finalmente andrà in onda l'episodio speciale per celebrare il cinquantesimo anniversario della serie tv fantascientifica più longeva di sempre: Doctor Who.

C'è chi ha preparato pop corn e patatine, chi si è trasferito direttamente a Londra per seguire tutte le celebrazioni (e magari ha anche prenotato al cinema per vedere l'episodio in 3D), chi appesta le bacheche dei suoi contatti facebook con foto su foto e notizie su notizie (presente!) e chi… ha scritto una guida turistica sulle location dello speciale per il cinquantesimo.

Nick Griffiths, che di lavoro fa il giornalista di sci-fi e che evidentemente non ama proprio le vie di mezzo, quest'estate si è messo in viaggio per visitare tutti i luoghi usati come set per The Day of the Doctor.

Le riprese dell'episodio in questione, che vedrà recitare insieme Matt Smith, David Tennant e John Hurt nei panni del Doctah, sono iniziate in aprile, a Nith, per poi spostarsi nella contea di Monmouthshire e a Cardiff.
 
Nick Griffiths ha visitato tutti i luoghi toccati dalla troupe e, in questo modo, ha potuto aggiornare il suo Who Goes There, una specie di guida turistica che raccoglie tutte le location usate dallo show a partire dagli anni Sessanta fino ai giorni nostri.

Intervistato dal WalesOnline, Griffiths ha ammesso che «È un po' difficile, però, convincere la gente a venire con te per visitare questi posti… è una missione un po' nerd».
Ma no, Nick! You Don't Say?

A lui, in ogni caso, vanno i complimenti per la perseveranza.

A voi, invece, va l'augurio di una buona visione per sabato. Vi ricordo che The Day of the Doctor andrà in onda su Rai4, alle 21.11, già doppiato in italiano (Rai4 ha dichiarato ieri che non sarà disponibile il doppio audio).

Allons-y!

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Manconi, Brinis | Accogliamoli tutti

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immigration

La Commissione nel 2013 è pronta a mobilizzare i fondi addizionali fino a un massimo di 30 milioni di euro per aiutare i rifugiati in Italia. (…) Non dobbiamo dimenticare (…) che [anche] altri paesi si trovano ad affrontare forti pressioni migratorie, e parlo della Grecia, di Malta e della Bulgaria, per fare alcuni esempi. Per trovare riposte a queste sfide comuni, dobbiamo lavorare insieme, con spirito di solidarietà e di responsabilità. 
José Manuel Barroso, Presidente della Commissione europea. Lampedusa, 9 ottobre 2013.

[L'UE] la parola solidarietà ce l’ha scritta nei trattati ma poi non riesce a esercitarla quando un Paese è in difficoltà. 
Enrico Letta, Presidente del Consiglio dei Ministri. Roma, 22 ottobre 2013.

Il Consiglio considererà la questione dei flussi migratori (…). Sulla base degli imperativi di prevenzione e protezione, e guidati dal principio di solidarietà e di condivisione di responsabilità, i capi di Stato e di governo concorderanno sull’importanza di un’azione decisa che impedisca la perdita di vite in mare e il ripetersi di tali tragedie in futuro. 
Consiglio europeo, briefing per la stampa. Bruxelles, 23 ottobre 2013.

Dobbiamo sostenere gli Stati mediterranei che accolgono i profughi e organizzare un'equa ripartizione tra gli Stati membri. Questa è la solidarietà europea e questo è ciò che deve essere nella nostra agenda odierna. 
Martin Schulz, Presidente del Parlamento europeo. Bruxelles, 25 ottobre 2013.

 Manconi, Brinis | Accogliamoli tuttiLa cosa migliore da fare per parlare di Accogliamoli tutti è non perdersi in chiacchiere, fare tesoro di ciò che vi si legge e usarlo. Usarlo come? Ad esempio per leggere gli eventi che hanno seguito la tragica morte in mare di 366 migranti, avvenuta il 3 ottobre poco al largo delle coste di Lampedusa.

Infatti il pamphlet di Brinis e Manconi vuole cambiare il modo di parlare di immigrazione. Secondo gli autori, la retorica della solidarietà (vedere grassetti), inserita nella logica binaria razzismo/antirazzismo finora preponderante, deve lasciare il posto ad una maniera più concreta, utilitaristica di affrontare la tematica. Come osserva il ministro per l'Integrazione Cécile Kyenge nella sua prefazione, molto cambierebbe se l’immigrazione fosse vista come un fenomeno da governare e non da subire o contrastare.

Argomentando con esempi, articoli e numeri (e nuovi numeri sono stati pubblicati da Repubblica proprio mentre scrivevo), gli autori sostengono anche che l’immigrazione debba essere affrontata a livello Europeo e che sia più conveniente per gli Stati membri attuare una politica di accoglienza, piuttosto che una di repressione e controllo. Non sembra essere questa la direzione in cui Bruxelles si sta muovendo (i 30 milioni promessi da Barroso saranno probabilmente destinati al rafforzamento del sistema di gestione delle frontiere Frontex).

Il 2014 vedrà succedersi la Presidenza italiana e quella greca e i due paesi sarebbero d’accordo per farne l’anno dellimmigrazione. Da come decideranno di affrontare quell’anno, dalla chiave di lettura del fenomeno che decideranno di adottare, dipende il nostro futuro.

E sarebbe bene, quindi, che @MartinSchulz, @EnricoLetta e @BarrosoEU, e noi, che in quanto cittadini dobbiamo chiamarli a rendere conto, leggessimo Accogliamoli tutti perché, più che un pamphlet ben scritto e interessante, più che attualissimo, più che giusto (o sbagliato) in termini di politiche, esso rappresenta un’efficacissima chiave di lettura e una concretissima e ragionevole proposta. 

Luigi Manconi, Valentina Brinis, Accogliamoli tutti, il Saggiatore, 2013

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Don DeLillo

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Don DeLillo

Nasce il 20 novembre del 1936 Don DeLillo, "il grande sciamano della scuola paranoide della letteratura americana". Non so come iniziare questo pezzo senza virare sul personale, e quindi sul semi-patetico. Me ne scuso in anticipo. Il punto è che di DeLillo ho una foto incorniciata (questa foto) appesa vicino alla scrivania; che ho iniziato a leggere Murakami perché le sue nuove copertine per Einaudi le ha fatte Noma Bar, e Noma Bar è il grafico che aveva riconfezionato DeLillo per i paperback della Picador; che quando ho saputo dell'uscita di Bleeding Edge di Thomas Pynchon, ho subito pensato che forse allora anche Don DeLillo stava scrivendo qualcosa di nuovo; il punto è che in un momento di fragilità mi sono trovato a prendere seriamente in considerazione l'idea di comprare un biglietto per New York e andare in cerca del suo indirizzo per farmi firmare la prima edizione di Ratner's Star. Questo è il tenore, insomma.

Per me leggere Don DeLillo  funziona sempre allo stesso modo, è come cercare di sintonizzare una radio o una vecchia televisione: all'inizio c'è un rumore bianco di fondo, i personaggi sono figure definite in negativo, la trama un ronzio indefinito e uniforme. Poi il video si stabilizza su un'immagine e questa immagine è il frame mancante dello Zapruder film. Il libro quindi inizia a funzionare con ingranaggi che sono frasi perfette, che trascinano fino alla fine alternando trance di lettura intensiva a momenti di pausa estenuata. L'impressione, alla fine, è quella di aver letto un verbale della CIA sull'11 settembre scritto da David Lynch, o qualcosa del genere.

Ho scoperto Don DeLillo molto tardi: reduce da due anni di lettura intensiva del suo allievo David Foster Wallace, ero in cerca di qualcosa di simile a quel tipo di scrittura distorta, ossessiva e dettagliata di cui non avrei potuto trovare più nulla da leggere dopo il 2008. Le primissime pagine di White Noise sono state illuminanti, quasi un momento di satori letterario nel quale ho capito da dove la scrittura di Wallace prendeva forma. DeLillo viene spesso inglobato nella corrente postmoderna della letteratura americana, ma il suo lavoro è ben diverso da quello di altri suoi colleghi come John Barth, Donald Barthelme e Thomas Pynchon. Se la dimensione "postmoderna" dei primi due si sviluppa nell'esplosione della forma narrativa, nella meta-narrazione e nella distruzione della quarta parete che divide lettore, scrittore e opera, DeLillo mantiene invece la forma del romanzo e la adatta ad un'era dove il romanzo è morto (insieme alle mezze stagioni, c'è da dire). Se Pynchon fa implodere la narrazione in un milione di personaggi e figure di cartone, di trame e false piste, di generi e stili eterogenei, Don DeLillo riduce la lingua alla lama di un bisturi e trova nella perfezione del periodo lo strumento per ritagliare dal rumore di fondo che ci circonda (il "total noise" di Wallace) un'informazione che valga la pena leggere.

Eppure la voce di DeLillo non è sterile e asettica. Dei suoi libri è stato detto che "mettono a disagio il lettore", ma secondo DeLillo "questo lettore di cui stiamo parlando si sente già a disagio. È molto a disagio. E forse ciò di cui ha bisogno è un libro che gli faccia capire che non è solo". E infatti molti dei suoi personaggi sono figure sole, individui alla soglia del solipsismo come il dylaniano Bucky Wunderlick di Great Jones Street, l'enfant prodige Billy "Twillig" Terwilliger in Ratner's Star, la figura epica di Lee Harvey Oswald in Libra, o ancora le mille facce nello stadio Polo Grounds all'inizio di Underworld, tutte quante tese come un unico corpo dal braccio allungato verso le 108 cuciture della palla da baseball lanciata da Branca e battuta fuori campo da Thompson.

Ci sono tanti modi per iniziare a leggere Don DeLillo, tanti quanti sono i romanzi che ha scritto. Personalmente, ho iniziato con White Noise: "if you are going to like DeLillo, this is the book that will make it happen". White Noise è Don DeLillo uno punto uno: Jack Gladney è quasi un archetipo delilliano, dentro vi si trovano il fienile più fotografato d'America (che viene costantemente fotografato proprio perché è il più fotografato), la paranoia dell'"airborne toxic event", il black-out da overload di informazioni, la droga che toglie la paura della morte.

Sempre nella lista dei classici di DeLillo ci sono poi Libra, The Names e Underworld. Libra ha al suo centro il personaggio di Lee Harvey Oswald, il marine assassino di John F. Kennedy, e si muove fra teorie del complotto, atmosfera da guerra fredda, storia e paranoia. In Libra, Oswald ci viene mostrato crescere da adolescente inquieto a figura portante della storia con la S maiuscola, finendo col diventare parte integrante della psiche americana. The Names è invece un discorso sul linguaggio nella forma di un thriller ambientato in Grecia e popolato di personaggi che lavorano in ambasciate, consolati e multinazionali del gas e del petrolio, nel quale l'America di fine guerra fredda viene descritta da fuori i suoi confini. Underworld è Underworld: la storia di una palla da baseball, di una partita diventata memoria collettiva, di serial killer texani e ambienti dell'arte contemporanea di New York, del timore sospeso della bomba atomica, di film perduti di Ejzenštejn, di scorie nucleari e spazzatura. Underworld è un'epica di 800 pagine che spaziano in tempi e luoghi diversi, offrendo un grande affresco corale dell'inverno della guerra fredda americana, dove la neve è fallout radioattivo.

C'è poi il materiale per cultori: si può iniziare con Americana, il libro d'esordio di DeLillo, scritto all'età di 34 anni, il resoconto dato da un dio mezzo sbronzo di un viaggio per le autostrade "dell'unico paese al mondo che possiede una violenza divertente". C'è Great Jones Street, che si dice parli di Bob Dylan nel periodo di Blonde on Blonde, all'apice della sua ossessione contro la propria fama. C'è Ratner's Star, che è un romanzo e pianeta a sé: "Qualcuno ha detto che Ratner's Star è il mostro al centro del mio lavoro. Ma forse si trova in orbita intorno agli altri libri. Penso che gli altri libri formino insieme una singola unità compatta, e che Ratner's Star si trovi in orbita intorno a quest'unità, ad una distanza molto, molto lontana".

Che si voglia iniziare da Running Dog, End Zone o Cosmopolis (ma magari non da The Body Artist), alla fine poco importa. Ognuno di questi titoli ha qualcosa in sé di particolare e prezioso, ognuno è un frattale di grandezza minore o maggiore nell'opera di uno scrittore unico nel panorama americano recente. Buon compleanno, Don DeLillo.

 

 

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Donne straordinarie

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Il 1928 fu davvero un anno eccezionale per la letteratura omosessuale in Europa e negli Stati Uniti. L'omosessualità era diventata qualcosa di più di un tema bollente, era una sorta di trend topic, tanto che anche alcuni scrittori eterosessuali (o presunti tali) vi si vollero cimentare. È questo il caso di Extraordinary Women (Donne pericolose) di Compton Mackenzie, romanzo a chiave satirico (iniziato nel 1927 col titolo provvisorio di The Ladies of Mitylene) ambientato nella Capri postbellica.

A Capri, l'isola del piacere dove aveva soggiornato dal 1903 al 1920 con la moglie Faith (che proprio in uno di questi soggiorni campani aveva avuto una relazione amorosa con la pianista Renata Borgatti), Compton Mackenzie aveva già dedicato il precedente romanzo Vestal Fire (1927), i cui personaggi si ispirano a Kate e Saidee Wolcott Perry, al barone Jacques d'Adelswärd-Fersen e alla comunità di ricchi ed eccentrici stranieri, spesso omosessuali, che popolano anche L'Exilé de Capri di Roger Peyrefitte.

Questo stesso ambiente caprese lo ritroviamo anche in Extraordinary Women, ma qui l'esperienza della Prima guerra mondiale fa da contrappunto alla leggerezza e spensieratezza con cui le donne rappresentate affrontano la vita, ed è la causa della diffusione del saffismo in questa terra ancora incontaminata. Gli abitanti dell'isola, infatti:

attribuivano il fenomeno di Rosalba e delle sue amiche alla guerra. "Povere donne", dicevano, “gli uomini scarseggiano.” […] “Povera donnina,” dicevano. “Peccato che non abbia un bel uomo” [in italiano nel testo, ndr]. Erano davvero dispiaciuti per Rosalba. Quando vedevano Rory aggrapparsi affettuosamente al suo braccio, si ricordavano di quello che avevano sofferto loro durante la guerra e di quello che avevano dovuto mangiare al posto del pane.

L'amore tra donne è un sostituto di quello per gli uomini, un qualcosa di cui accontentarsi in mancanza di un cibo migliore: un'alternativa al pane quotidiano. La guerra ha portato via gli uomini dalle loro case, dalle loro famiglie, dalle loro donne – e queste ultime, per occupare gli spazi vuoti lasciati da mariti o amanti, si dedicano a frivole storielle. Più che al pericolo, queste donne paiono votate al flirt.

In ogni capitolo di Extraordinary Women, che si apre con una citazione da Saffo, il narratore è sempre lì nell'intimità delle camere da letto, pronto a raccontare e svelare i vizi e i segreti di queste donne e a ridicolizzarli:

“Lei si che è una femme,” Rosalba dichiarò con amarezza, “e trovo davvero ridicolo che si dia della femme a me. Sono abbastanza disgustata dal suo comportamento. Olga, non è vero che lei è molto più femme di me? Io non ho mai avuto rapporti sessuali con un uomo, lo giuro; Cléo, invece, lo ha fatto due volte. Me lo ha detto lei. Una volta passi, poteva averlo fatto per curiosità, ma per farlo due volte doveva essere proprio una svergognata.

Pubblicato solo un mese dopo The Well of Loneliness, con cui condivideva una certa visione sessuologica dell'omosessualità, Extraordinary Women di Compton Mackenzie non ricevette l'attenzione critica e censoria del libro scritto da Radclyffe Hall, benché in alcune parti indugiasse in descrizioni sensuali, a tratti morbose (sempre però attraverso il filtro dell'ironia). La vera colpa di Radclyffe Hall era forse quella di essere una donna e dunque non poteva scrivere di certe cose, mentre a Compton Mackenzie (uomo e per giunta eterosessuale) questo era concesso, anche se in maniera limitata (almeno quanto la tiratura del suo romanzo).

Forse, a quasi un secolo di distanza, le cose non sono poi così cambiate. Voi che ne pensate?

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Douglas Coupland fra una fermata e l’altra della metro

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Mi chiamo Shannon, sono una precaria, ma più che altro sono il futuro del lavoro nel mondo occidentale. Certo, magari voi ce l'avete un lavoro ora come ora, ma prima o poi finirete come me, a saltare da una cosa all'altra, senza assicurazione sanitaria e senza dentista, con niente altro se non il piacere di non dover baciare il culo a nessun imbecille.

Comincia così Temp, il racconto a puntate che lo scrittore canadese Douglas Coupland ha iniziato da qualche giorno a pubblicare sulle pagine di Metro. Arrivato al "day 13" di un calendario che andrà a coprire un totale di quattro settimane, Temp ha per protagonista Shannon, un ritratto crudo ed essenziale di quella figura che vediamo spesso filare via con la coda dell'occhio al mattino in metropolitana, quella ragazza che con un caffè in mano va di corsa verso lavori frustranti, orari precari e pochi soldi a fine giornata.

Douglas Coupland è l'autore di Generazione X, e forse è inconsciamente conosciuto non tanto per questo suo romanzo d'esordio, ma proprio per l'etichetta ("Generazione X") che dal suo romanzo ha preso vita. Coupland è un autore prolifico, ha pubblicato più di 13 romanzi, diversa saggistica e un discreto numero di sceneggiature e testi per il teatro. Il suo lavoro ricorda nel tono, se non nello stile, nomi importanti quali Irvine Welsh di Trainspotting o Chuck Palahniuk di Fight Club, come loro infatti Coupland cerca di dare una definizione a quella generazione in sospeso che è andata crescendo dagli anni 70 in avanti, a cavallo fra il muro di Berlino, lontano dalle grandi guerre e fra gli intervalli delle crisi economiche.

Non suona quindi come nuova, da parte di Coupland, l'adozione di questo strumento di diffusione letteraria, ovvero il racconto a puntate sulla carta presto straccia dei quotidiani della metropolitana. Shannon è al tempo stesso la protagonista di Temp e il lettore ideale di questo tipo di racconto, fra una fermata e l'altra del suo tragitto fra casa e lavoro. Questo formato sembra funzionare decisamente bene, basti pensare al recente successo di Jennifer Egan per Minimum Fax con Black Box, storia nata in origine su Twitter in piccoli brani di 140 caratteri, con buona pace del conservatore Franzen. Speriamo quindi di veder presto arrivareTemp in libreria, in modo da poter gustare con più calma la storia di Shannon nelle nuove pagine di Coupland: sarebbe un peccato lasciar finire nei cestini delle fermate della metropolitana questo piccolo ritratto di una generazione carta straccia.

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Tempo di rileggere

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Il prossimo fine settimana il tempo farà un po' i capricci, meglio distendere gli animi e rileggere qualche bel classico, magari intonato al meteo. Niente di più facile, grazie ai nostri consigli di lettura pensati ad hoc per momenti come questo. 

Nord

Sabato tempo in peggioramento con piogge e massime tra i 7 e i 12°C; domenica schiarite e temperature in ripresa.

Consiglio di lettura: domani sarà il compleanno di George Eliot, quindi accomodatevi pure davanti al camino con una bella tazza di tè fumante e omaggiatela (ri)leggendo Middlemarch, grandioso romanzo su uomini e donne di provincia troppo spesso trascurato. Sarà un bellissimo weekend, ve lo garantisco. 

Centro

Sabato brutto tempo su Toscana, Marche e Lazio e massime tra gli 8 e i 13°C; domenica piogge in intensificazione e temperature in lieve rialzo.

Consiglio di lettura: tempo da lupi, verrebbe da dire; prendo quindi con molto slancio la palla al balzo e vi invito, anche qui, a rileggere qualcosa di quel geniaccio di Jack London, che si dà il caso sia morto il 22 novembre di novantasette anni fa. Zanna bianca o Il richiamo della foresta? Fatemi sapere cosa avete scelto. 

Sud e isole

Sabato tempo molto instabile con temperature in calo e massime tra gli 11 e i 16°C; domenica temporali su Campania e Sicilia, bello altrove. 

Consiglio di lettura: tempo instabile, temporali… che ne dite di un bel romanzo distopico? Se vi piace l'idea vi consiglio Il mondo nuovo di Aldous Huxley, visto che domani è anche il cinquantesimo della morte. 

Buon weekend e buona lettura!

 

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Re-Kiddo: la nuova cultura dei Kids che non leggono

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http://heykiddo.it/extra/approfondimento/scrittori-e-figli/la-nuova-cultura-dei-nostri-ragazzi-dobbiamo-iniziare-convincercene-sul-serio/

I nostri figli, in grande maggioranza, non leggono volentieri. Non è, insomma, la prima cosa che viene loro in mente quando pensano a come passare un'ora libera. Più interessanti, a quanto pare, internet, i videogiochi. E soprattutto i socialnetwork (a cominciare già dalla prima o seconda media).

Son cose note. Ma adesso si fa strada tra gli esperti l'idea che i ragazzi, proprio con le loro passioni diverse dalle nostre, non stiano semplicemente fuggendo dalla “cultura”, vista come un'occupazione pesante e poco divertente. No: probabilmente stanno costruendo una nuova cultura. Ma quale? Scopritelo qui, su Hey Kiddo!

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Half Bad: soldi, successo, streghe

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Se si è stufi di hobbit, elfi e nani si può provare con i maghi adolescenti. Se dopo i maghi adolescenti, ed eventualmente i draghi, si vuole provare qualcosa di più passionale, ci sono i vampiri coi bollori, e chi vuole può fare una capatina tra tutte le altre storie con quelle belle copertine piene di modelle gnocche travestite da eroine fantasy. In realtà il repertorio è molto ma molto più fitto, eppure si può dire che, a occhio e croce, il genere (con le sue più recenti saghe di successo) si muova principalmente tra questi ambienti e che, perciò, le novità siano in gran parte da considerarsi felici o infelici rielaborazioni. Un secondo, all'appello manca qualcuno. Abbiamo detto elfi, maghi, draghi, vampiri… cavolo, le streghe! Ma certo, una saga sulle streghe. Facciamo mente locale: tra le ondate di JK Rowling, Stephenie Meyer e Lisa J. Smith c'è stato qualcuno che ha lanciato di recente una bella saga sulle streghe? No? Allora Sally Green e il suo Half Bad arrivano al momento giusto.

Se escludiamo George R.R. Martin e Christopher Paolini (e ovviamente anche Tolkien), appuriamo che i più vistosi successi di serie fantasy e urban fantasy sono da attribuire a delle scrittrici. Un dato come un altro oppure una caratteristica che può suggerirci diversi argomenti. E, giusto per dire le cose come stanno e sbandierare i nostri autori, alle signore sopra citate dobbiamo aggiungere anche Licia Troisi. Lo so, lo so, ci sono non pochi lettori-fan pronti a infilzarmi coi loro gadget appuntiti freschi freschi di Lucca Comics per non aver menzionato qualche altro autore di rilievo. C'è anche Cecilia Randall, ce ne sono moltissimi, più o meno noti. Il fatto è che, come detto, l'universo fantasy sembra sterminato e una volta entrati c'è il rischio di non uscirne più. C'è anche C.S. Lewis. Molte scrittrici, dunque, ma la schiera è abbastanza capiente e può accogliere tra le sue fila anche Sally Green, 52 anni, che fino a poco tempo fa neanche si sognava di mettersi a scrivere un libro e infatti lavorava come ragioniera. Poi però si è inventata una storia sulle streghe bianche e le streghe nere che vivono segretamente in Gran Bretagna e che tra di loro si odiano, pur essendo unite da un nemico comune, il giovane Nathan, proveniente da entrambi i rami. Half Bad, che ha una gran bella copertina, uscirà il prossimo marzo, ma gli editori di 36 paesi hanno ben pensato di affrettarsi a comprarne i diritti. Grazie agli anticipi, l'autrice guadagnerà circa un milione di sterline, un po' meno di Garth Risk Hallberg, ma comunque una discreta somma per un esordiente.

Va segnalato, tra l'altro, che Half Bad, pubblicato nel Regno Unito da Puffin Books, cioè l'etichetta della Penguin dedicata alla letteratura per ragazzi, è il primo romanzo di una trilogia intitolata Half Life e che la Fox 2000 si è già accaparrata i diritti cinematografici (e c'è di mezzo Karen Rosenfelt, che ha prodotto e portato sul grande schermo della saga di Twilight). Insomma, Sally Green sembra essere destinata ad approfittare con successo della momentanea assenza di casi editoriali riguardanti storie sulle streghe, eppure è d'obbligo ricordare che Half Bad non inventa nulla e che, con una piccola ricerca, si possono scoprire un bel po' di opere e autori. C'è La saga delle streghe di Mayfair di Anne Rice (specializzata anche in vampiri), c'è Strega di Remo Guerrini, c'è la trilogia Sangue di strega di Justine Larbalestier, la trilogia Wither di John Passarella. Ai profani, categoria che comprende anche il sottoscritto, questi nomi non diranno nulla, ma venire a conoscenza di un così vivido, seguito e apprezzato sottobosco narrativo animato da numerosissimi appassionati tra scrittori, editori e lettori, credo non possa lasciare indifferente nessun lettore, a prescindere dal genere che si predilige. Perché davanti a cotanto e caloroso interesse chi non è troppo impegnato a fare lo snob finisce per ripetersi, con semplicità: quant'è bello leggere.

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Il digitale per la cultura femminile

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Il digitale, grazie alla semplificazione dei modelli editoriali, permette lo sviluppo di tanti progetti più o meno interessanti.
Questo, che vede la collaborazione di una libreria digitale e di una associazione senza fini di lucro che si sono messe insieme per perseguire l'obiettivo comune di divulgare la cultura di genere, può essere annoverato tra quelli interessanti.

La libreria digitale si chiama ebook@women libreria digitale femminista e nasce per valorizzare il patrimonio storico-documentario della Biblioteca Italiana delle Donne e dell'archivio di storia delle donne. Si propone di acquisire riviste storiche del femminismo italiano e distribuirle in formato digitale, per rendere questi materiali facilmente fruibili da parte di strudiose e ricercatrici che farebbero fatica a reperirli.
La prima rivista totalmente digitalizzata resa disponibile è Lapis, percorsi della riflessione femminile pubblicata dal 1987 al 1996 e diretta da Lea Menandri, conservata in cartaceo dalla Biblioteca Italiana delle Donne di Bologna.

Enciclopedia delle donne è, come abbiamo anticipato, un'associazione senza scopo di lucro che si occupa di raccogliere il sapere femminile. La realizzazione dei suoi articoli è affidata a più di trecento autori e autrici riuniti in diversi NOE: nuclei operativi dell'enciclopedia delle donne.

L'Enciclopedia delle donne dal 2010 è anche editrice, pubblica biografie di donne di tutto il mondo. Promuove così esempi illustri e porta avanti un ideale, che vede nella conoscenza e nella diffusione dell'esperienza di personaggi significativi un antidoto alla tendenza secolare alla semplificazione che impoverisce la cultura e gli esseri umani.
Nel 2012 ha deciso di occuparsi anche di romanzi, saggi, documenti.
Dietro questo progetto c'è la Società per l'enciclopedia delle donne, che ha tra i suoi obiettivi anche la creazione di occasioni di lavoro per ragazze giovani e meno giovani.

Il progetto, portato avanti da ebook@women e dall'Enciclopedia delle donne, prevede la distribuzione degli ebook pubblicati dall'Enciclopedia nella libreia digitale femminile, con l'obiettivo di accrescere la visibilità della letteratura di genere in tutti i formati disponibili. L'ebook offre infatti la possibilità di elaborare i contenuti in un modo differente e grazie a essi

«leggere diventa un'attività immersiva in cui fondamentale è il ruolo di tutte le attrici in campo: l'autrice, la casa editrice, la libraia, la lettrice. Unite e collegate per garantire qualità e controllo, innovazione e originalità a questo filone della produzione/distribuzione editoriale». (cit. Server Donne)

Ebook@women, L'Enciclopedia delle donne e anche l'articolo su Server Donne usano sempre il femminile per dell'iniziativa, solo le donne sono viste come desitnatarie del progetto.

Quest'anno è stato coniato il termine "femminicidio", è stato dichiarato lo stato di emergenza per la violenza sulle donne. Rendere partecipi anche gli uomini, invitandoli a documentarsi sulla cultura e la storia delle donne, potrebbe rivelarsi importante per la lotta all'ignoranza, che è spesso causa di discriminazioni e violenze. Una campagna di sensibilizzazione recita: «contro la violenza sulle donne servono altri uomini» per creare altri uomini la lotta all'ignoranza potrebbe essere un ottimo strumento.

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Il professor D.

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Il professor D.

Negli anni settanta, durante un’importante conferenza mondiale di medicina a Buenos Aires, il professor D. dimostrò che la vita è cancerogena. Con una serie di diapositive poco curate illustrò come, incrociando tutti gli studi degli ultimi trent’anni, non avesse trovato un solo caso di tumore in un uomo che non esisteva. La comunità scientifica prese sottogamba le sue affermazioni, alcuni dissero che era pazzo, la figlia che tanto amava smise persino di parlargli, ma questo non impedì al professor D. di continuare il suo lavoro. Tornato nel suo laboratorio, prese in considerazione altre malattie come il diabete o la depressione, e dopo qualche anno di ricerche ininterrotte si rese conto che non soltanto la vita era cancerogena, ma era sempre e fatalmente mortale.

Passeggiando lungo il viale di un’università pose allora una domanda a un suo vecchio amico psicologo, l’unico che gli rivolgesse ancora la parola: “Se la vita porta dolore e malattia, perché gli esseri umani hanno paura di agire? Moriranno comunque, si ammaleranno comunque.” Lo psicologo si prese qualche attimo per pensare, poi rispose che tutti cercano di limitare le possibilità che gli accada qualcosa di brutto. Allora il professor D. si passò la mano sulla camicia per ripulirla dalla salsa del kebab e trascinò lo psicologo nel suo studio, dove gli mostrò una serie infinita di grafici che dimostravano come in realtà più una persona affrontava di continuo dei rischi moderati e più la sua vita si allungava, la sua salute migliorava, le sue fortune aumentavano.

Il professor D. e lo psicologo, incuriositi, fecero allora qualche ricerca tra gli studi esistenti, ma non trovarono niente di rilevante. Quindi, quasi per gioco, organizzarono qualche esperimento. Dapprima su alcune cavie da laboratorio, poi su se stessi, infine sui colleghi che, per non minare la credibilità dello psicologo, erano tenuti all’oscuro di questo lavoro.

Le ricerche proseguirono per tre anni, poi per altri cinque, e per altri sette ancora, fino a quando non saltò fuori la risposta che cercavano. La risposta che tutto il mondo cercava, pur non avendo mai fatto la domanda. Telefonarono subito a Buenos Aires, avevano bisogno di uno spazio per presentare le loro scoperte. Da Buenos Aires gli dissero che per quell’anno erano pieni. “Internet!” urlò il professor D., “pubblichiamo tutto su internet!”. L’amico psicologo fece un gran sorriso, alzò di scatto le braccia al cielo e la sua mano toccò due fili scoperti che dovevano alimentare una lampadina. Perse i sensi, cadde e urtò la testa su una bottiglietta di gazzosa lasciata sul pavimento.

Il professor D. entrò nell’ambulanza che accompagnava il suo amico all’ospedale: “Forza,” diceva, “non puoi morire proprio adesso.” Un infermiere che era con loro guardò D. e gli disse: “Professore, cos’è quella protuberanza che ha sul collo?”
Lui tastò la zona e rispose: “Probabilmente un tumore.”

Lo psicologo entrò in coma, il suo cervello ormai era andato. Il professor D. tornò a casa, si sfiorò di nuovo il collo e ripensò a quello che gli avevano detto: “Due mesi di vita, al massimo tre.”
Prese dal laboratorio tutte le sue carte, il computer, i cd, le lettere di rifiuto delle riviste scientifiche, e li ammucchiò nel giardino. Poi gli diede fuoco, sollevò il telefono e compose il numero di sua figlia.

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Atlantikwall. Pezzetto 0. In cui si fa il punto.

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Questa rubrichina si intitola Atlantikwall. Nei 5 pezzetti successivi cercherò di raccontare cos’è, l’Atlantikwall, attraverso alcuni libri. Alcuni 5 libri. 

Intanto, per avere un’idea, qui ci sono delle citazioni. 
Per il resto ci vediam la prossima settimana.

Il Vallo Atlantico è un insieme di fortificazioni composta da casematte, da batterie d’artiglieria pesante, da posti di direzione di tiro, di comandamento, d’osservazione, da stazioni radar, da ripari per le munizioni e uomini, da torri Flak, da basi sottomarine, da fabbriche per i razzi V1 e V2, e ancora da ostacoli sulle spiagge, da linee anti carro e da campi minati. Sono circa 12000 opere in cemento armato che si estendono dalla Norvegia alla Spagna.
Le Mur de l’Atlantique: vers une valorisation patrimoniale? Christelle Neveux

Per questa gigantesca impresa, in meno di due anni di spasmodico lavoro, impiegammo 13.302.000 metri cubi di cemento per un valore di 3.7 miliardi di marchi, sottraendo agli armamenti 1,2 milioni di tonnellate di ferro.
Memorie del terzo Reich, Albert Speer

Massicci di cemento armato costruiti per resistere tanto alle cannonate, quanto alle bombe, ai gas asfissianti e ai lanciafiamme
Bunker archéologie, Paul Virilio

Le istallazioni difensive furono studiate e decise da Hitler fino nei minimi particolari. Egli giunse a progettare personalmente (di solito durante la notte) i vari tipi di bunker. Erano semplici schizzi, i suoi, ma chiari e precisi.
Memorie del terzo Reich, Albert Speer

IL COMANDO SUPREMO DELLA WEHRMACHT
Quartier Generale,
23 marzo 1942

DIRETTIVA N 40
Le coste europee sono esposte, in larga misura per il prossimo futuro, al pericolo di uno sbarco nemico. […] La difesa costiera esige una collaborazione particolarmente stretta e senza errori tra le diverse armate. 
L’articolazione delle forze e l’organizzazione delle fortificazioni devono essere stabilite in modo tale che il centro della difesa sia applicato sui settori suscettibili di costituire i punti di sbarco principali del nemico.
Gli altri settori costieri, nella misura in cui sono minacciati da colpi di mano, devono – se possibile appoggiandosi sulle batterie costiere – essere assicurati da dei punti d’appoggio. 
Il nemico dev’essere annientato da un contrattacco o rigettato in mare. Chiunque porti un’arma, senza distinzione d’appartenenza tra battaglioni o tra unità interiori all’esercito, devono essere ingaggiati all’unisono a questo scopo.

Adolf  Hitler

(Bunker) […] di cemento armato, simili  ai sommergibili per la loro chiusura stagna, simili ai carro armati per la loro massa e la loro artiglieria, […] prendono in prestito da questi macchinari un certo numero di elementi, come fossero accessori.
Bunker archéologie, Paul Virilio

Una delle caratteristiche fondamentali di un bunker è che si tratta di una delle rare architetture monolitiche moderne.
Bunker archéologie, Paul Virilio

 

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Le dimensioni contano in letteratura?

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La questione se le dimensioni nella vita contino o meno è talmente triviale che se mi mettessi a giocare sui doppi sensi avreste tutto il diritto di smettere di leggere questo pezzo qui, dopo 37 parole. In realtà l’ho già fatto fin dal titolo, non potevo resistere. Stop quindi a qualsiasi allusione e andiamo dritti al cuore di questo articolo: the bigger è sempre the better, anche in letteratura? E quindi è meglio il romanzo del racconto? Meglio il mattone del libretto che non arriva alle cento pagine?

Io confesso che per anni l’ho pensata così, per una serie di motivi che se li metto per iscritto ora mi sembrano perlomeno naïf. Volevo un libro che mi facesse compagnia per un bel po’, una lettura immersiva e totalizzante. Soprattutto se era di uno dei miei autori preferiti, la lunghezza rappresentava una garanzia di duratura soddisfazione. Inoltre ero inconsapevolmente vittima di un retaggio, forse scolastico, in base al quale grande volume è sinonimo di grande qualità; anni di body-building coatto a suon di Guerra e pace e Il rosso e il nero mi avevano trasformata in una collezionista di mattoni. Da non sottovalutare poi la componente economica che spingeva una me ancora studentessa universitaria a comprare libri che a pari prezzo avessero un numero maggiore di pagine. 

Poi cos'è successo? È successo che negli anni ho scoperto Raymond Carver, e dopo di lui John Cheever, e poi Bernard Malamud, e recentemente Etgar Keret e Nathan Englander…  e da allora non valuto più la grandezza di un libro dal numero delle pagine. Rimane il fatto che questo evidentemente non sia o non sia stato un problema solo mio, se da sempre il racconto fatica ad imporsi nelle abitudini dei lettori e sotto a un certo numero di pagine si fatica a parlare di romanzo e si ricorre a espressioni quali racconto lungo, romanzo breve, libretto, libercolo e via dicendo. Non è un caso che l’assegnazione del Premio Nobel ad Alice Munro sia stato salutato da molti come un successo per la narrativa breve, ancor prima che per la narrativa femminile (inteso come prodotta da autrice donna, sia ben chiaro).

Il dibattito è aperto da qualche secolo prima di Cristo. Come ci ricorda questo articolo del Guardian, in principio fu Aristotele a sostenere che quando si parla di scrittura, bigger is better. Nella Poetica, cercando di codificare i principi della tragedia e dell’epica, affermò che «quanto invece al limite secondo la natura stessa della cosa, il racconto, rispetto alla grandezza, tanto più è bello quanto più è lungo, a condizione però che riesca chiaro nell’assieme». La tragedia non solo doveva essere completa ma anche di una certa grandezza, significativa ma tuttavia non eccessiva, «che fosse facile ad abbracciarsi con la memoria». Ovvio, direte voi, che Aristotele non si stesse riferendo a un genere letterario, il romanzo, che vedrà la luce circa duemila anni dopo, ma stava in ogni caso attribuendo un valore alla lunghezza in relazione alla rappresentazione scritta del mondo, alla creazione di una trama.
Se queste parole fossero prese alla lettera, si potrebbe affermare ad esempio che le oltre mille pagine del Don Chisciotte ne facciano di diritto un lavoro letterario migliore di un’opera da sempre classificata romanzo breve come Morte a Venezia? O che Addio alle armi valga tre volte Il vecchio e il mare

Vediamo come si sono schierati sull’argomento alcuni noti scrittori. Tra i fautori della brevità troviamo George Saunders, non a caso autore di racconti (il suo ultimo libro, Dieci dicembre, è uno dei casi letterari dell’anno ed è appena stato "sconfitto" al National Book Award, dove veniva dato tra i favoriti); secondo Saunders «un romanzo non è altro che un racconto che non è ancora riuscito ad essere breve». Borges non prendeva posizione, ma utilizzò gli argomenti di Aristotele a sostegno della short story in quanto essa poteva «essere compresa in un unico sguardo». Sosteneva inoltre che alcuni racconti di Kipling o Conrad fossero densi quanto un romanzo. E per Ian McEwan, che nel 2007 è stato tra i finalisti del Booker Prize con Chesil Beach che arriva appena alle 136 pagine, il romanzo breve è la forma perfetta della narrazione in prosa, mentre il romanzo è «troppo capiente, onnicomprensivo, ribelle e personale per poter raggiungere la perfezione». 
Lo scrittore statunitense Richard Ford, invece, ricorda ancora le sue discussioni con Rayomond Carver sui meriti della narrativa lunga e breve, con Ford a sostenere che il romanzo fosse un gesto letterario più importante, e Carver a protestare vigorosamente. E Carver, si sa, è stato uno dei più grandi scrittori di racconti mai esistiti, uno che nessuno con un briciolo di senso letterario potrebbe mai definire inferiore a qualunque romanziere. 

Io non voglio schierarmi e ritengo anche superfluo farlo; come vi raccontavo, ho scoperto da qualche anno i racconti e ne sono una consumatrice entusiasta, ma da lettrice di lunga data e amante mai pentita di mattoni non potrei dire nulla contro il romanzo-non-breve. Voi dove vi schierate, ammesso che lo facciate? Siete lettori da mattoni o da 100 grammi?

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Leggere eBook in volo

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Per un lettore, nulla è più galvanizzante di leggere guardando fuori. Il fuori può essere una finestra, un finestrino o un oblò, poco importa: è la frattura fra la nostra immobilità fisica ed il movimento del mondo esterno, a far scattare la magia. Se poi non soffriamo di mal d'auto, leggere in viaggio è un'esperienza al confine con la magia, in cui il corpo e la mente si sdoppiano due volte. Provare per credere: alberi, case, montagne, il gran vociare della vita di tutti i giorni ci passa davanti velocemente, mentre noi siamo fisicamente fermi, e la nostra mente è da un'altra parte ancora, presso un altro vociare, altri paesaggi, altri mondi. Ragazzi, è come viaggiare su due binari contemporaneamente.

Per noi amanti del digitale, poi, l'esperienza assume sfaccettature ancora più particolari: nessuno può vedere la copertina di quello che stiamo leggendo, e fino all'ultimo momento noi stessi non sappiamo se riprendere con il capitolo lasciato a metà oppure no, perché il paesaggio e le persone intorno ci ispirano diversamente. Poi leggere di notte, se il nostro eReader è sovrailluminato… avete mai provato a leggere in un bus notturno, di quelli che fanno Milano-Palermo di notte? Le luci del paesaggio fuori, la piccola luce dell'eReader, i bagliori della storia, e tutt'intorno il silenzio. E leggere in aereo? Il nostro ereader non sarà mai troppo ingombrante per il bagaglio da stiva, la luminosità non sarà mai un problemaSiamo letteralmente con la testa tra le nuvole, elevati al di sopra di tutto e tutti: sotto di noi solo un morbido tappedo di nubi, sopra solo il blu, e la nostra immaginazione è sotto cieli ancora diversi. Se non è questa un'esperienza catartica.

Vedete bene che è difficile pensare di interrompere questa magia. Eppure, se avete preso almeno un aereo, una volta nella vita, sapete bene che "durante le fasi di decollo ed atterraggio, tutti i dispositivi elettronici dovranno essere spenti, anche se in modalità aereo". Molti non l'hanno mai visto come un grosso sacrificio, ma si sono irrigiditi nel vedere il mezzo sogghigno del tizio seduto nella fila di destra che tiene aperto il suo bel tomo di Grisham mentre voi spegnete il Kindle. E c'è anche chi, invece, è andato in fondo a questa storia: com'è possibile che un eReader da 100 Euro possa interferire con i sistemi di trasmissione di un aereo? Che razza di tecnologia aliena incorpora il mio Kindle, da renderlo in grado di mettere K.O. un aereo addirittura? Per non parlare del lettore mp3 e di tutti gli altri device elettronici, poi! Non ce la raccontano giusta. E la faccia di quello che legge Grisham non la digerisco proprio.

In questo video (purtroppo sprovvisto di sottotitoli in italiano, ma comunque comprensibile!) un riassunto esaustivo della situazione in fase di decollo: gli aerei sono magici.

Ad ogni modo, la EASA (European Aviation Safety Agency, l'agenzia per la sicurezza aviatoria) ha recentemente decretato che va bene, sui voi europei possiamo leggere i nostri eBook anche durante le fasi di decollo ed atterraggio dell'aereo senza problemi: a quanto pare, gli eReader non sono in alcun modo in grado di interferire con la strumentazione elettronica di un aereo moderno. Questo vale anche per tutti gli altri dispositivi elettronici, a patto che siano in modalità aereo. Attenzione attenzione: se avete un eReader ed avete in programma un viaggio aereo, trovate il modo di aggiornare il software del device! La modalità aereo, d'ora in poi, comprenderà l'uso della wi-fi, escludendo però altre funzionalità.

Alla fine, comunque, poco ci importa della wi-fi, o persino del sogghigno del tizio di Grisham: come stessimo lottando per "i diritti dei lettori digitali", ci importa che l'incantesimo non venga spezzato, che il volo non venga interrotto, che possiamo continuare a viaggiare simultaneamente in due diverse direzioni, senza interruzioni.

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L’attesa che rode il fegato

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blue jasmin, finzioni, andrea sesta

Sono un uomo malato… Sono un uomo cattivo. Un uomo sgradevole. Credo di avere mal di fegato. Del resto, non capisco un accidente del mio male e probabilmente non so di cosa soffro. Non mi curo e non mi sono mai curato, anche se rispetto la medicina e i dottori. Oltretutto sono anche estremamente superstizioso; be', almeno abbastanza da rispettare la medicina. (Sono abbastanza colto per non essere superstizioso, ma lo sono.) Nossignori, non voglio curarmi per cattiveria. Ecco, probabilmente voi questo non lo capirete. Be', io invece lo capisco. Io, s'intende, non saprei spiegarvi a chi esattamente faccia dispetto in questo caso con la mia cattiveria; so perfettamente che neppure ai medici potrò "farla" non curandomi da loro; so meglio di chiunque altro che con tutto ciò nuocerò unicamente a me stesso e a nessun altro. E tuttavia, se non mi curo, è per cattiveria. Il fegato mi fa male, e allora avanti, che faccia ancor più male!

Questo è l'incipit di Memoria dal sottosuolo, sempre del nostro amico Fedor Dostoevskij. Invece, io cerco e credo di essere un uomo per bene, ma a volte mi trovo d'accordo con il narratore, quando maledico generazioni di responsabili della distribuzione e del marketing delle pellicole che arrivano in Italia. Perché anche a me il fegato fa male. Quando un film mi piace, non lo scarico e aspetto di andare a vederlo al cinema. Quello che molti miei amici (e perfetti sconosciuti, va da sé) spendono in concerti e musica, io lo spendo in cinema e film. Non conta molto se il film sarà un capolavoro o un grandissimo buco nell'acqua, se mi interessa non mi tolgo il piacere di andare a vederlo in una sala cinematografica.

Da solo, se capita. Meglio se accompagnato, ovviamente. Ora, ci sono due film che mi stanno facendo sfrigolare come un maiale in fregola: l'uno è Blue Jasmine (negli Usa è uscito il 26 luglio, da noi uscirà il 5 dicembre) l'altro è Inside Llewyn Davis (presentato a Cannes quest'anno, uscirà ad Aprile dell'anno prossimo!).

Però prima lasciate che vi illumini sui miei prossimi film al cinema: Hunger Games – La ragazza di fuoco, Thor – The Dark World, ed Escape Plan. Sono tutti film molto divertenti, specialmente l'ultimo e il bello è che escono più o meno in contemporanea anche in Italia. A volte capita addirittura che in Italia escano il giorno prima, tanto meglio. Ma quei due film, Blue Jasmine e Inside Llewyn Davis mi stanno tormentando.

Vorrei scaricarli, so che posso scaricarli. Conosco siti, ma non faccio i nomi, in cui so che troverei quello di cui ho bisogno, ma resisto, ogni tanto, in casi come questo, resisto. Il fegato mi fa male, e allora avanti, che faccia ancor più male!

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Daniele Zito – La solitudine di un riporto

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Molti libri usciti negli ultimi anni, o almeno quelli che ho letto recentemente, sembrano lesinare storie e compensarle con l’inspessimento della scrittura. Come per non “sprecare” le idee, per spremerle fino in fondo e farci più romanzi possibili. Di solito, infatti, un libro – o nei casi peggiori un'intera bibliografia – viene costruito attorno a un'unica idea, un singolo spunto che, per quanto geniale, si imposta come perno di tutta la narrazione. Oh, niente da dire, spesso vengono fuori bellissime cose. Ma se c'è uno spreco che ammiro, è quello delle buone idee. Uno spreco allegro. Uno schiaffo alla miseria intellettuale. Una provocazione alla pagina bianca. Uno sberleffo al blocco dello scrittore. 

Questa è la prima cosa che mi è venuta in mente mentre leggevo La solitudine di un riporto, un libro che, a detta dell'autore, costa sì 13 euro ma contiene, in ogni copia, una banconota da 20 (se non la trovate è stato il commesso). 

solitudine Daniele Zito   La solitudine di un riportoAllora: c'è un libraio che non legge libri, odia i lettori, è un ciccione sudato con il riporto, ha un passato burrascoso, cambia l'ordine di catalogazione dei volumi per confondere i clienti, si pulisce il culo con le pagine di Anna Karenina e mette le bombe alle Feltrinelli del suo quartiere. Intorno a questa premessa stellare si potrebbe scrivere una trilogia (anche erotica, magari). E invece, in questo libro, rimane solo, appunto, una premessa. E poi si parla d'altro. Il libraio cambia, si innamora, c'è pure la criminalità organizzata e scene bellissime di matrimoni e funerali. 

La solitudine di un riporto è un libro sfrontato, proprio come chi il riporto ce l'ha per davvero e, quando finisci di leggerlo, una netta impressione si fa strada nella tua cervice trasformandosi, nel viaggio sinaptico, in una certezza: Daniele Zito ha ancora talmente tante idee nel cassetto da poter rinfoltire un sacco di chiome per gli anni a venire. E noi qui ci pettiniamo con cura, evitiamo il gel che ti fa seccare i capelli e aspettiamo.

 

Daniele Zito – La solitudine di un riporto – Hacca 2013 – 352 pagine – 13 euro (ma c'è una banconota da 20 in ogni copia, dice)

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