
Anni trascorsero. Bufere.
Gli antichi sogni poi travolsero,
Scordai la tenera tua voce,
I tuoi sublimi lineamenti.
Adesso, in questa quartina che fa parte di una delle più famose poesie d’amore della letteratura russa dell’800, ma potrei anche dire di tutta la storia, Puškin dice che l’amore, col tempo, le esperienze e gli intrighi, le “bufere”, per dire, l’amore se ne può andare. Almeno, in lui, se ne è andato.
Il tempo, mi pare dica, travolge i sogni amorosi, anzi più che travolgerli li spegne, in quanto non sembra trattarsi di una cavalcata o di una corsa in carrozza, quella del tempo, quanto un dolce e allo stesso tempo amaro oblio.
La “Tenera voce” e i “Sublimi lineamenti” del soggetto, sempre sottointeso, vengono cancellati dal tempo, quasi avesse la gomma pane.
Guadando fuori dal finestrino, il treno ha decelerato, c’è un ceffo che trascina una carrozzella, uno di quei ceffi che da queste parti vanno a bidoni riempiendo le carrozzelle di immondizia che poi credo riciclino. Il ceffo cammina su una strada di campagna, che da queste parti, la campagna, la sua atmosfera, è fortemente minacciata dal mare. Dall’aria di salsedine.
E io, seduto col cappotto, mi chiedo sarà mica solo Puškin a far vivere e morire il suo amore? Sarà mica, più che il tempo, che anima la sua tolleranza, mi vien da dire, nei confronti di un amore astratto?
E in silenzio passavo i giorni
Recluso nel vuoto grigiore,
Senza più fede e ispirazione,
Senza lacrime, né vita e amore.
Eccolo lì, Puškin, in balia delle sue giornate peggiori, “Recluso nel suo grigiore”.
Non so, a me sembra che sia lui a dare moto al suo amore, che poi è solo suo, e non Puškin con una donna. Mi sembra che qui ci sia un’altra vita, le cui basi poggino su una mancanza di emozioni e fede necessari per la sua ispirazione di giovane poeta 26enne. E’ un amore che, mi pare, Puškin costruisce su misura per sé.
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