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Quando la puttana della storia è il narratore

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In questo periodo ho un po' di preoccupazioni per la testa così per le mie letture ho messo il pilota automatico e mi affido all'offerta del giorno del Kindle Store di Amazon. Anche perché, ve lo devo dire, i libri che leggete tutti, quelli che sono di nicchia solo per finta, mi stanno sul gozzo. 

Succede insomma che un libro mediamente costoso viene messo a 0,99 o 1,99 per un solo giorno, mi immagino sempre gli uffici stampa delle case editrici con ogni dito incrociato! Molto spesso accade, dicevo, che l'offerta lampo siano debutti di autori oggi stabilizzati, ma all'epoca dell'uscita Mr. and Mrs. Buco nell'Acqua.

Questo è stato proprio il caso de Le cose che non ho di Grégoire Delacourt, il libro che voglio trattare oggi nel nostro corner pornografico. È un romanzo adattissimo allo scopo per due ragioni: la prima è che la protagonista si abbandona a ricordi di vita intima col marito che la sodomizzava pur trovandola troppo grassa, la seconda è che di rado mi è capitato di trovare una puttana intellettuale più spudorata di Monsieur Delacourt.

Parto dal fondo: proprio questa settimana avete letto qui su Finzioni di come Scarlett Johansson se la sia legamente presa con il nostro narrateur per avere usato la sua "personalità" ne La première chose qu'on regarde. L'ego di Scarlett non è affare nostro, noi ci occupiamo di lettura, lei è un'attrice ed è nata per nutrirlo e lo farà con ogni mezzo a sua disposizione, siatene certi. 

Il nostro vero problema è invece il motivo per il quale pubblicitari, stufi di mangiarsi a colazione la madre, decidano di diventare romanzieri. Se sono loro che soddisfano la domanda editoriale di questo secolo, facciamoci delle domande. Delacourt è uno scafato ex pubblicitario, appunto, che una mattina, in cui si è accorto di non essere più di primo pelo, ha deciso di applicare le regole della fame whoring al fare soldi con la narrativa.

Leggete il suo debutto e non mancheranno i seguenti elementi:

  •  una casalinga di mezza età frustrata,
  •  un marito mediocre,
  •  ampi excursus sulla vita sessuale coniugale non tra le più scontate,
  •  la protagonista è una sfigata di periferia con un blog cliccatissimo da altre poverine, 
  •  riferimenti ad abitudini e personaggi popolari, quali lotteria, chirurgia estetica anelata da ogni femmina, nomi di stilisti costosi, rimandi al cinema (maddai?)

Il tutto è condito dalla narrazione in prima persona (però femminile eh! Così lo scrittore si è assicurato che andassimo a verificare un paio di volte la sua vera identità e la possibile natura autobiografia dello scritto), un flusso di coscienza infarcito di espressioni parlate a mo' di diario segreto e una personalità così liquidamente femminile da risultare finta. Qualunque vera donna NON si sarebbe mai comportata come Jo, la protagonista.

Una nausea, una banalizzazione del racconto al femminile rara da trovare, un po' come quando Fabio Volo pontifica sull'amore, perché c'è una ricetta fissa e noi non la conosciamo. 

Mercificare, è la parola. E vicino a letteratura (e interiorità) stride sempre.

 

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