
Photocredit: Ferdinando Scianna, Bagheria
Fì, quefto è il tempo delle fanfole!
Quando Fosco Maraini porta la metasemantica in Italia si trova al termine di lunghe traversate. Il viaggio in Tibet con l’orientalista Giuseppe Tucci. Il trasferimento in Giappone con la famiglia dove fu internato nel 1946 in un campo a Nagoya per aver negato la fiducia al regime fascista, tagliandosi un mignolo in pubblico. Da qui nascono opere come Segreto Tibet, Ore giapponesi o Gli ultimi pagani.
Una svolta linguistica, come si dice, dal 1956 darà vita a Nuvolario. Principii di nubignosia (Semar 1995), il primo studio metasemantico sulle nuvole spacciato per scientifica analisi delle chiazze corpuscolari celesti. Le parole con un suono familiare rimandano ad un significato che non dipende da loro ma dall’effetto sonoro che creano insieme. Viaggiatore, poeta, etnologo e linguista, Maraini teorizza gli esperimenti già avviati da Lewis Carrol e Cortàzar, il quale aveva descritto, sua bontà, un amplesso metasemantico ne Il gioco del mondo:
[…] avvolpati nella cresta del morelio, si sentivano balparamare, perlacei e marili. Tremava il troc, erano vinte le marpenne e tutto si ressogliva in un profondo pinnice ( J.Cortàzar, Il gioco del mondo, Einaudi, p. 352)
Ecco a voi in due parole una dimostrazione sana dei risultati indegni ed esilaranti goduti dal nonsense. Il significato intuito dal suono di una parola è amplificabile all’infinito, più di quanto lo diventi attraverso la fedeltà dei vocabolari.
Fosco Maraini sposa Topazia Alliata di Salaparuta, una nobile pittrice siciliana, da cui nacque la scrittrice Dacia e anche il vino, Duca di Salaparuta. Tornati dal Giappone, vissero nella Villa di Valguarnera a Bagheria, luoghi avvinghiati alle "mascherate di corte". Nel 1966 arriva Le fanfole. Esperimenti di poesia meta semantica, da poco riedito con musiche di Stefano Bollani e recitazione di Massimo Altomare.
Una raccolta di poesie senza referente, aggrottate nelle spirali del suono puro:
Il lonfo
Il lonfo non vaterca né gluisce
e molto raramente barigatta,
ma quando soffia il bego a bisce bisce
sdilenca un poco, e gnagio s’archipatta.
È frusco il lonfo! È pieno di lupigna
arrafferia malversa e sofolenta!
Se cionfi ti sbiduglia e t’arrupigna
se lugri ti botalla e ti criventa.
Eppure il vecchio lonfo ammargelluto
che bete e zugghia e fonca nei trombazzi
fa lègica busìa, fa gisbuto;
e quasi quasi, in segno di sberdazzi
gli affarfaresti un gniffo. Ma lui zuto
t’alloppa, ti sbernecchia; e tu l’accazzi.
Gigi Proietti la mette in scena. Fosco ne fa una filosofia. La Gnosi delle Fanfole avverte che la scrittura vive attraverso un effetto di sensazione, un intendersi inconscio, efficace ma obbligatoriamente superficiale, innocuo. Il trauma sta tutto nello straniamento provocato da una lingua sconosciuta. Una volta però entrati nella gnosi, nessun senso va saputo, conosciuto. Ogni cosa chiede solo il suo banale ri-conoscimento cacofonico. Dopo tutto, un generatore di lonfo-termini è il parto doloroso di ogni storia violata. Folata.
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