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La frittata alla Fante

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Trent’anni fa esatti, l'8 maggio 1983, l’Uomo Senza Tonno non era ancora nato, ma agitava le branchie nel grembo materno. Trent’anni fa esatti, in California, John Fante diceva ciao ciao a questo mondo. Potrebbe essere un coccodrillo struggente, ma l’Uomo Senza Tonno non è avvezzo ai piagnistei. Però gli piacciono gli omaggi, ancor di più se generati da piroette al fornello. 

Tra le pagine di Fante echeggiano i brontolii degli stomaci, i lamenti della fatica, tutti scaturiti dall’incertezza del domani precario che si staglia sulla sua famiglia italo-americana. Tradurre questi echi in pietanza è la missione dell’Uomo Senza Tonno che intercetta in una semplice ma nutriente frittata il risultato di un tale processo sinestetico. Facile, no?

L’Uomo Senza Tonno dismette quindi gli abiti funerei, indossa il grembiulino e passa dalla terza alla prima persona singolare: adesso ti racconto questa semplice delizia. Servono uova, ricotta fresca e biete a coste.

Lavo, pulisco e tagliuzzo le biete e, senza asciugarle, le fiondo in padella con uno spicchio d’aglio in camicia. Le scotto a fiamma alta per 5 minuti. Tolgo dal fuoco, aggiusto con una micropresa di sale.

Mezz’ora fa ho tirato fuori dal frigo le uova, sono pronto per sbatterle con l’amore e la dovizia che l’operazione richiede. È un lavoro faticoso questo, dove soddisfazione (poca) e sudore (tanto) si fondono, un po’ come il tuorlo e l’albume, che si congiungono e a cui addiziono sale e pepe e menta. Menta fresca trita che fa più natura, altrimenti secca fa lo stesso.

Il tema adesso è la ricotta. Possibilmente di pecora che è più belluina. Consiglio: la ricotta va comprata il giorno prima e fatta scolare, in modo che rilasci il siero in eccesso e non si rammollisca mentre soffrigge. Sì, perché ora la taglio a pezzi di media dimensione e la soffriggo per circa 3 minuti nell’olio ospitato dalla padella che adesso sarà la ribalta di questa commedia ovipara.

Aggiungo le biete scottate alle uova sbattute e verso tutto sulla ricotta che sfrigola e non vede l’ora di fare comunella coi suoi nuovi compari. Il resto è storia di ogni frittata. L’ovetto si coagula e quando il rischio-rottura è scampato, la rivolto con una capriola di cui neanche i caprioli delle Dolomiti son capaci. Spengo la fiamma. Silenzio in sala.

Fante gradirebbe se di contorno ci fosse un’insalata di arance e cipolle rosse e un bel calice di Montepulciano d’Abruzzo. Mentre ripongo la fetta di frittata nel piatto, dalle pagine de La Grande Fame gocciola un po’ d’inchiostro. Lascio lì, non ho voglia di pulire il piatto.

Stay tuna.

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