
Come scrittori erano dei geni, i migliori della loro generazione, degli illuminati. Ma come se la cavavano come insegnanti? È noto che molti grandi autori abbiano ricoperto ruoli di insegnamento, prima di avere successo o durante la loro carriera, ma il fatto che un grande scrittore sia anche un grande comunicatore, una persona in grado di trasmettere un sapere non è per nulla scontato, che si tratti di insegnare la storia della letteratura o, compito ancora più arduo, che si tengano corsi di scrittura creativa per trasmettere un’arte che molti considerano innata.
Recentemente l’argomento è stato sollevato sulle pagine della New York Review of Books, che ha pubblicato la storia, raccontata in prima persona, di Edward Jay Epstein, oggi giornalista investigativo, nel 1954 studente alla Cornell University. Epstein, spinto non tanto dalla passione quanto dalla comodità di orari (niente lezione al sabato!) scelse di frequentare un corso di Letteratura Europea del diciannovesimo secolo, presto ribattezzato Dirty Lit dal Cornell Daily Sun in quanto si approfondiva il tema dell’adulterio in Anna Karenina e Madame Bovary. A tenere il corso era Vladimir Nabokov, un anno prima del successo (scandalo) mondiale di Lolita, pubblicato nel 1955. Epstein racconta di come Nabokov chiarì subito ai suoi studenti che non gli interessava stabilire un rapporto amichevole con loro, al punto che non li avrebbe nemmeno chiamati con il loro nome ma con il loro numero di sedia, 121 nel caso del narratore. Nabokov assegnò loro una lista di autori da leggere – Leo Tolstoy, Nikolai Gogol, Marcel Proust, James Joyce, Jane Austen, Franz Kafka, Gustave Flaubert e Robert Louis Stevenson – chiedendo loro di avvicinarsi a quelle letture senza nessun approfondimento del contesto storico e di non identificarsi in nessun caso con i personaggi, perché i romanzi sono lavori di pura invenzione.
Sulla scia di questo pezzo, il magazine Flavorwire è andato a vedere come se la cavavano dietro la cattedra alcuni dei migliori scrittori del ventesimo secolo e contemporanei; non tutti dei Capitano-Mio-Capitano, ma a dar retta ai resoconti in prima persona dei loro studenti, non erano affatto male.
Partiamo da una caso molto noto, quello di David Foster Wallace che ricoprì dal 2002 la cattedra di scrittura creativa all’Università di Pomona. Presenza schiva al campus, Wallace cambiava faccia nelle ore di lezione; viene descritto dai suoi alunni come un insegnante eccezionale, con la porta sempre aperta, animato dalla volontà di tirar fuori il meglio dai suoi studenti e infondere loro fiducia nelle proprie capacità. Ecco alcuni momenti presi qua e là dai loro ricordi (che potete leggere per intero qui): che il primo giorno di lezione si presentò con una felpa di Star Wars e con la sua usuale bandana, e che divenne presto famoso per il suo abbigliamento buffo; che era ossessionato dalla precisione nell’uso del linguaggio e riportava le prove dei suoi studenti con centinaia di commenti e note meticolosamente organizzate, con la stessa attenzione che avrebbe riservato ai suoi stessi lavori; che era "avvicinabile" nonostante la sua fama di genio (vi ricordo che Infinite Jest era uscito nel 1996), addirittura divertente; che insisteva che scrivere non era un atto di solipsismo ma un atto di generosità. In tre parole (usate da un suo studente), non era solo un insegnante ma un idolo, un mentore, un amico.
Se Wallace è quello che ci aspettavamo, stupisce sulle prime il resoconto di una studentessa di Allen Ginsberg, che nel 1979 lavorò come sua tirocinante alla Jack Kerouac School of Disembodied Poetics; un ragioniere spiegazzato in maniche di camicia, questa fu la prima impressione che la studentessa ebbe del poeta "maledetto" della Beat Generation (si scoprì poi che il suo guru Chogyam Trungpa Rinpoche gli aveva suggerito di indossare un completo per essere preso sul serio come poeta, e lui lo fece per il resto della sua vita). In quel periodo Ginsberg diede spesso uno sguardo alle poesie della ragazza, e visto che rifiutava ogni gerarchia, chiese a lei di fare lo stesso con le sue; riteneva d’altronde di non avere molto da insegnarle: "tutto quello che puoi fare è frequentare i poeti e studiare le loro menti".
Per quanto riguarda Kurt Vonnegut, una studentessa del suo workshop di scrittura dell’Università dello Iowa lo descrive come un insegnante brillante, indignato, timido, gentile. Uno che rideva delle proprie battute e che si auto-commiserava spesso per il fatto di non avere una laurea e per la sua ignoranza della letteratura in lingua inglese (e qui narra un episodio avvenuto in classe: pare che Vonnegut non avesse idea di chi fosse Keats e sentendolo nominare pensò che si trattasse di qualcuno che gli studenti conoscevano).
Chiudiamo con Jonathan Franzen, il quale viene ricordato dai suoi studenti dello Swarthmore College (dove si laureò nel 1981 e insegnò scrittura creativa dal 1992 al 1994) come, indovinate un po’, un insegnante molto serio che sapeva trasmettere ai suoi studenti l’importanza della scrittura, brutalmente onesto ma anche capace di incoraggiare. Durante il corso fece leggere DeLillo e David Foster Wallace. Il suo mantra era che non ci può essere una buona storia senza conflitto e desiderio. Si direbbe che con lui abbia funzionato.
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