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È la crime fiction il nuovo centro della Fede in letteratura?

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Photocredit: www.storiologia.it

Una premessa innanzitutto: in letteratura, la laicità è un elemento irrinunciabile e incontrovertibile.

Ma sarà questa strana atmosfera creata dall’imprevista elezione di un nuovo Pontefice mentre quello vecchio è ancora in vita; sarà l’attesa di capire cosa verrà dopo il «Buongiorno» e il «Buonasera» e la scelta di chiamarsi Francesco; sarà pure che si sta avvicinando la Pasqua; sarà, insomma, quel che sarà… ma capita di scovare certi articoli e fermarti a pensare a cose che fino a ieri non ti avevano nemmeno sfiorato, tipo che taluni temi di matrice, per così dire, cristiana – l’afflato fideistico, il rapporto umanità-divinità, il dualismo secolarismo-spiritualismo, solo per citare i più comuni – sembrerebbero, narrativamente parlando, per lo più abbandonati o addirittura dimenticati. Niente più confronto continuo e tormentoso con la figura di Cristo (pensiamo a Dostoevskij); niente più drammatiche contraddizioni alla Graham Greene; niente più caustica presa di coscienza alla Evelyn Waugh: «Dio in letteratura è morto».

La riflessione, in realtà, prende avvio in tempi non sospetti, per la precisione da un pezzo di Paul Elie pubblicato qualche mese fa sul New York Times che denunciava lo stato di secolarizzazione della letteratura americana, riflessione rilanciata, ponderata e analizzata variamente dalla rivista cattolica Commonweal, dal The American Conservative, e dal Wall Street Journal, con ogni intervento che apporta opinioni conformi o contrarie; dimostrazioni, sottrazioni o addizioni all’argomento.

Quale che sia l’effettivo stato delle cose è soggetto troppo vasto e complesso per poter essere vagliato attentamente in questa sede; quale che sia la percezione del lettore nei confronti della materia è cosa lasciata, invece, al sentimento del singolo.

Affascinante appare, piuttosto, la tesi sostenuta recentemente al riguardo da David Masciotra sul The Daily Beast. Incastonata all’interno dell’analisi di Hit me di Lawrence Block, egli afferma che:

La crime fiction tesse le sue trame al confine tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, tra ciò che è onesto e ciò che non lo è, tra il bene e il male. È a causa di questo nudo confronto con la filosofia e l’etica, e la sua descrizione di vagabondi, spudorati, femmes fatales, meschini criminali, serial killer, uomini di legge circondati dalla malvagità, presi nella morsa della turpitudine morale, che è così concretamente e naturalmente idonea a trattare con il dubbio, con la fede e con l’intima lotta spirituale. (…) Il noir e il poliziesco hanno sempre raccontato la storia di gente che decide di attraversare un’invisibile ma palpabile linea morale. (…) E questi sono gli stessi quesiti che si trovano nei racconti biblici e nelle vite dei santi.

Una teoria, certamente suggestiva,  che si va ad aggiungere alle molte altre sorte intorno al senso, al rilievo, ai modi, alle tecniche, al messaggio intrinseco della detective novel che si sono susseguite nel tempo (le mie, per esempio, sono state influenzate da un corso universitario in cui si faceva discendere la dicotomia ordine/caos, tipica del genere, dallo strutturalismo e dalla distinzione tra langue e parole).

Ma appunto di teorie si tratta, passibili, per natura, di essere approvate o respinte, prese in considerazione, approfondite, irrise, liquidate.

Una teoria è soprattutto uno spunto, nel nostro caso un pretesto per chiedere a voi lettori: davvero la crime fiction può essere considerata il nuovo centro della Fede in letteratura?

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