Cos’è un libro?
La polemica sul Nobel per la letteratura dato a Bob Dylan è uno di quei casi in cui una crepa su un muro lascia apparire un multiforme sostrato di opinioni su cosa sia e cosa no “letterario”.
Nelle righe che seguono, non voglio fare sofismi né tantomento cercare di spiegare cos’è e cosa no letteratura, senza nemmeno provare a quadrare il cerchio grazie all’etimo della parola “letteratura”.
Ma lasciatemi immaginare, ad esempio, un ipotetico lettore creativo in grado di rintracciare l’etimologia di letteratura in “quelle cose che possono essere lette”. La ricetta scritta di un medico non è letteratura, dunque. Forse però le interiora di un uccello lo sono, per un aruspice, mentre un bastone di legno adatto lo è per un rabdomante. Tuttavia non voglio divagare. A suo tempo avevo già affrontato l’argomento con l’amico Jacopo Cirillo quando unastoria di Gipi è stato candidato allo Strega.
Questo ragionamento mi è tornato in mente un sabato pomeriggio, in una libreria in centro a Verona, quando Tito Faraci, parlando del volume che ha appena scritto insieme a Sio, intitolato Le esilaranti avventure di Max Middleston e del suo cane alto trecento metri (Feltrinelli, 2016), ha detto en passant “quando mi sono arrivate le bozze del romanzo…”.
Partiamo col sottolineare che quello che hanno scritto sicuramente non è un romanzo. Cosa fosse non lo sapevano nemmeno alla Feltrinelli, hanno rivelato gli autori. Non sapevano in quale collana inserirlo e nemmeno che colore dare alla copertina. Spero di non rivelare un segreto quando scrivo che l’arancione del libro è stato scelto come la soluzione più sicura e ragionevole alla domanda “visto che non sappiamo precisamente cosa fare, va bene se usiamo il nostro colore di rappresentanza?”.
Se poi aggiungiamo il fatto che Tito e Sio sono due casinisti, capite che ci troviamo davanti ad un limbo di nonsense in cui solo il buon Alighieri avrebbe potuto cavarsela. Pensate che sul collo del libro al posto del titolo avreste trovate la parola “titolo”, perché Faraci, mentre stava cucinando la cena, ha pensato che sarebbe stato divertente così. Per fortuna la sventurata editor (a cui vanno i nostri abbracci) non ha capito, o ha finto di non capire.
Parliamo della storia
A riprova del fatto che nessuna storia interessante nasce con le parole “Quella sera sono rimasto a casa a mangiare un’insalata”, né Tito Faraci né Sio ricordano il processo che ha dato il via alla collaborazione. Certo, si sono conosciuti perché Sio è fan di Topolino e da lì è nata la loro amicizia. Quello che gli storici annoteranno nei loro appunti è che entrambi erano a Lucca, esattamente un anno fa per il Lucca Comics and Games, e una sera dopo un numero non meglio precisato di bibite gassate o fermentate hanno avuto un’idea, si sono guardati negli occhi ed è stato concepito Le esilaranti avventure di Max Middleston e del suo cane alto trecento metri.
Se cercate il libro perché siete appassionati di cani (magici) alti più di 299 metri, forse questo non è il libro che fa per voi. In ogni altro caso, probabilmente è un libro che vi farà ridere e sghignazzare perché è un grandissimo gioco di malintesi e gag visive.
Il libro, come ha fatto efficacemente notare Martino Pietropoli è una partita a tennis (o tennis tavolo, se preferite adeguare le dimensioni) per gli occhi. Letto quello che va in una vignetta nella pagina a sinistra, si osserva la vignetta nella pagina a destra. Perché è appunto un libro così: a sinistra c’è la sceneggiatura di un fumetto, diviso per tavole con didascalie descritte e diagoli, a destra ci sono le vignette disegnate.
Gran parte del divertimento del libro nasce nell’ambiguità di alcune espressioni. Sì, ma spieghiamoci un po’ meglio, anche e soprattutto per provare a capire cos’abbiamo in mano. Un amico mi ha domandato “si ok, ma fa ridere?”.
È una domanda onesta, che merita una risposta sincera. Lasciamo stare che entrambi gli autori dovrebbero essere sinonimo di qualità e proviamo a capire a che genere di risata andiamo in contro.
Avete presente i film del trio ZAZ, Zucker-Abrahams-Zucker? Parlo dei classici del cinema come L’aereo più pazzo del mondo o La pallottola spuntata… ecco, se vi piace quel genere di comicità visiva, Max Middleston fa per voi. Ma lasciate che vi faccia un esempio un po’ più chiaro. Il film del trio ZAZ che meglio rappresenta la comicità di Tito-Sio è Top Secret!
Top Secret! è stato definito da alcuni critici come “un grande trattato sulla vista”. E questo è anche il punto fondamentale di Max Middleston: quello che il disegnatore vede non è quello che lo sceneggiatore intendeva. Su questo punto ci torneremo più tardi. Ma l’elemento di congiunzione sono proprio le sparatorie. Guardate questa e poi continuate a leggere.
Gag simili le troverete in Max Middleston, che di sparatorie ne ha un paio e sono altrettanto stralutante e surreali, per i motivi di cui sopra: lo sceneggiatore intende una cosa e il disegnatore non capisce. Se quel video vi fa ridere, per rispondere alla domanda, Max Middleston vi piacererà.
Ad esempio, prendiamo questa frase dalla sceneggiatura a pagina 72: “Ivanoff taglia corto, irritato”. Ecco com’è la vignetta corrispondente.
Ivanoff taglia Corto (Maltese, La ballata dell’amore salato, Hugo Pratt).
Poi sia chiaro, questo è uno solo degli aspetti per cui i lettori si divertiranno. Ce ne sono altri che preferisco non rivelare, ma che comunque possono essere riassunti nel novero delle gag visive, che però non funzionerebbero senza la sceneggiatura di fianco. Questa avversativa, concluendo, ci riporta alla questione di apertura: cos’è questo libro?
Intuizione ascoltando Mahler
L’altra sera mi trovavo in un concerto da camera, se questo è il termine giusto. C’era una pianista molto affascinante e c’erano due cantanti, una soprano e un tenore. Suonavano e cantavano Mahler. Tutto questo sarebbe secondario in realtà, se non fosse che è stato mentre vedevo le dita sensuali e tenere della pianista sfiorare i tasti bicromi del pianoforte mentre i muscoli del collo della cantante si contraevano e la lingua del tenore, ben all’interno della bocca, assumevano innaturali forme paraboliche, che ho avuto un’illuminazione.
Da quel poco che ricordo di storia della musica, il modo in cui nasceva un’opera lirica era tramite il dialogo, verbale o meglio ancora epistolare, tra il librettista e l’autore della musica. Immaginatevi Giuseppe Verdi con in mente un’aria un po’ maliziosa, ma anche un po’ cafoncella, che scrive al suo librettista Francesco Maria Piave “hai per caso in mente quella sbronza felice che ti fa sentire tutt’uno col mondo e ti viene voglia di abbracciare chiunque ti capiti a tiro?”. Francesco Maria Piave risponde di sì “ok, ma dimmi un po’ della musica…” e Giuseppe Verdi gli risponde “il mio solito ZUM PA PA”.
Ho quello che fa per te, Beppe leggi qui:
Libiamo, libiamo ne’ lieti calici, che la bellezza infiora; e la fuggevol’ ora s’inebrii a voluttà. Libiam ne’ dolci fremiti che suscita l’amore, poiché quell’occhio al core onnipossente va. Libiamo, amore; amor fra i calici più caldi baci avrà.
“Vedo che hai capito. Ora non resta che scrivere il resto della Traviata” È stato in quel momento che ho capito cosa il nuovo libro di Tito Faraci e Sio è.
Un’opera lirica è più della somma delle parti, dal momento che un libretto non è l’opera lirica e nemmeno la sinfonia da sola lo è. Sembrerà ovvio, un po’ come se dicessimo che un numero, ad esempio il numero 12, è pari alla somma di 7 e 5. Se qualcuno provasse a convincerci che il 7 o il 5 presi singolarmente sono sostanzialmente come il 12 lo prenderemmo per pazzo… ebbbene, qui siamo davanti a un bel 12.
Il processo creativo degli autori è avvenuto in maniera simile a quella della creazione di un’opera lirica. Mentre producevano, disegnavano e scrivevano, si sentivano per dirsi “qui scriviamo sta cosa che disegneremo così…”, almeno all’inizio. Dopo questo procedimento è rimasto, ma a detta di Tito è diventato superfluo farlo a voce. Cioè: se nella didascalia Tito scriveva, faccio un esempio, che la protagonista era sulle spine, intendendo che era in uno stato di tensione ed ansia, Sio a un certo punto del lavoro non ha avuto più bisogno dell’input di Tito per capire che quelle spine avrebbero dovuto essere delle vere spine (per quanto possano essere vere le spine disegnate da Sio!).
Il 12 è un concetto non contenuto nell’idea di 7 o di 5, ma forse nemmeno questo rende a pieno l’idea di cosa Max Middleston sia. Il punto fondamentale, che pure i detrattori (casomai ve ne fossero) dovranno riconoscere, è che Max Middleston supera la somma delle parti di cui è composto. Siamo davanti a qualcosa di nuovo, forse difficilmente replicabile. Ma che dire, la sfida è aperta!
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