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Fake Memoirs: un’ultima riflessione

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Love and Consequences, In un milione di piccoli pezzi, Forbidden Love, Piccolo albero, Papillon sono solo alcuni dei titoli che potrebbero riempire le librerie negli scaffali riservati alle Fake Memoirs. Tutti libri con uno stesso copione: l'autore scrive un romanzo, l'editore appiccica sulla prima pagina il bollino “tratto da una storia vera”, il pubblico crede di comprare un' autobiografia che cambierà definitivamente la sua vita e lo illuminerà con una trama così coinvolgente perché vera come i racconti narrati da nonno, la notte di Natale, con cui ricordava i tristi e duri giorni passati nei campi di prigionia egiziani. Anche quello che succede dopo, oramai, è un copione già consolidato: la bugia viene scoperta, il libro – spesso – ritirato, la credibilità dell'autore minata, l'editore ci fa una figuraccia e via, in attesa del prossimo, nuovo caso.  

166106 Fake Memoirs: unultima riflessioneQui non si vule discutere su cosa sia realtà e cosa finzione, perché è la definizione stessa di Memoirs che non consente un tale dibattito; non lo fa per due motivi: il primo  sta nel fatto che le Memorie sono un genere letterario e, in quanto tali, sottostanno ad  un processo creativo, un processo di scrittura necessario per riportare una storia – per quanto tratta da una vita piena, triste, misera o avventurosa – su delle pagine, all’attenzione di un lettore, con la stessa vena triste, misera o avventurosa. Per portare a compimento questa passaggio non si può prescindere dal servirsi degli espedienti tipici dei romanzi e, quindi, della finzione.  Il secondo motivo, invece, risiede nello stesso termine che dà origine al genere: la memoria. Non ci troviamo davanti a un saggio storico, ad un racconto cronologico di eventi veri, con scopi didattici, volto a ricostruire la realtà nel modo più fedele possibile, ma abbiamo a che fare con le  sensazioni di una persona, con i suoi ricordi, per l'appunto. Si è dibattuto troppo su quanto la memoria sia fallace, su quanto i ricordi siano filtrati dall'ora, dal momento in cui la persona ricorda e non dal passato, da ciò che è realmente successo. Con l'espressione “memoria emotiva” si rende maggiore onestà a ciò che i ricordi, in realtà, sono: la rievocazione di un evento legato dal filo debole dell'emozione a ciò che è stato vissuto nel passato. Tutto ciò che viviamo, quando viene relegato alla comprensione con le emozioni del presente, cambia di significato. Date queste due premesse, allora, è chiaro come l'espressione Fake Memoirs più che un ossimoro sia, invece, l'accostamento di due sinonimi: la memoria è falsa.  

Il perché questo genere di romanzo sia attaccabile, criticabile e offendibile da ogni punto di vista sta, allora,  in un motivo che non ha nulla a che fare con il concetto di verità ma con uno simile, che è l’onestà. Mentre la verità  si trova all’interno del libro, l’onestà se ne sta all’esterno e si costruisce a priori, prima ancora che una singola parola sia stata impressa, prima ancora che la storia esista nella mente dell’autore. In un libro non cerchiamo la realtà dei fatti, non ci interessa che quello che viene raccontato sia tratto da una storia vera, perché lo scrittore è libero di fare ciò che vuole, scrivere di ciò che vuole, nel modo che preferisce e con gli scopi che vuole perseguire. Quando lo fa, però, lo scrittore non deve mai dimenticarsi che la sua opera acquisirà senso soltanto se incontrerà la costruzione di senso di un lettore e questo incontro non può che basarsi sull’onestà, sulla sincerità dei principi, delle azioni e, soprattutto, delle intenzioni. Non è la truffa che fa imbestialire – ad attenuarlo, male che vada, ci sono sempre i risarcimenti delle case editrici – ma è il fatto di essere stati ingannati, di aver intavolato una relazione sulla base delle bugie e degli imbrogli, di aver basato un rapporto che si credeva paritetico su due piani differenti. Questo patto implicito di onestà tra scrittore e lettore si può anche rompere, e se lo si fa per scopi provocatori, di sperimentazione o di protesta, di certo non si può parlare di disonestà. Ciò che invece non si può fare è fingere che questo patto esista per poi tradirlo, consapevolmente, con la mira di un mero tornaconto personale, di una brama di tirannia dell’autore sul lettore. Se succede questo allora, nel libro, verrò meno tutto il senso per cui si scrivono i romanzi. Verrà meno il senso per cui, i romanzi, si leggono. E diventeremo tutti un po’ più poveri, per lo meno culturalmente. 

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