Sono in quattro: Doc Sarvis (un chirurgo di nome e di fatto), Seldom Seen Smith (un mormone che ha tre mogli e organizza escursioni fluviali), Bonnie Abbzug (una giovane newyorkese che assomiglia in tutto e per tutto alla giovane Liz Taylor) e George W. Hayduke (un reduce del Vietnam con qualche rotella fuori posto e dalla pistola facile). Sono loro i sabotatori che si oppongono al progressivo avanzare della civiltà industrializzata ai danni della natura vergine dell’ovest nordamericano. Doc, guida economica e ideologica del gruppo, non fa che ripeterlo:
Siamo intrappolati […] nei cingoli d’acciaio di un moloc tecnologico. Una macchina senza cervello. Con un reattore autofertilizzante al posto del cuore. […] Un industrialismo planetario […] che cresce come un cancro. La crescita per la crescita. Il potere per il potere.
I sabotatori è il romanzo più famoso dello scrittore statunitense Edward Abbey. Abbey, poco noto e poco tradotto in Italia, è uno dei grandi cantori e amanti della wilderness, la natura americana già celebrata da Thoreau nel XIX secolo come un valore da preservare e da difendere. Guardiaparco e scrittore, l’autore de I sabotatori è diventato famoso soprattutto grazie alle modalità con cui i suoi protagonisti si oppongono alla distruzione degli ecosistemi naturali. Il titolo italiano parla da solo, mentre quello originale, The Monkey Wrench Gang, ha originato un modo di dire – “monkeywrenching” – che indica appunto l’azione di sabotaggio in difesa dell’ambiente. Insomma, i quattro protagonisti del romanzo non si pongono scrupoli etici, per cui usano la dinamite tutte le volte che possono. Fanno saltare in aria convogli ferroviari, strade, dighe e ponti; quando ne hanno l’occasione manomettono tutti i mezzi da lavoro che trovano sulla loro strada con l’obiettivo di rallentare i lavori in corso. Ogni minaccia a laghi, foreste e parchi nazionali è obiettivo delle loro chiavi inglesi e del loro esplosivo. Leggere questo romanzo – per fortuna mai ideologico, per fortuna pieno di ironia e di situazioni divertenti – fa venir voglia di prendere una jeep e di andare a difendere il bosco più vicino dalle seghe elettriche delle multinazionali.
Come sempre accade, il libro ispira il lettore; ed è il lettore a fare la storia. Sull’onda ambientalista generata da questo libro, pubblicato nel 1975, e dai movimenti verdi sorti in Nord America, negli anni Settanta sono nate diverse associazioni che identificano nell’azione organizzata contro i responsabili delle malefatte ecologiche il cardine della loro missione. Greenpeace ed Earth First! i nomi più famosi e noti. Tuttavia, le modalità adottate sono differenti: se Greenpeace agisce per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sui problemi ambientali e lotta in modo più che altro politico, Earth First! e altre associazioni simili si ispirano proprio al romanzo di Abbey, così come dimostra il loro motto: «No compromise in the Defense Of Mother Earth!».
Lo stile intenzionalmente provocatorio di Abbey serve allo scopo e suscita nel lettore numerose domande, soprattutto di carattere etico. É lecito ricorrere alla violenza per difendere l’ambiente dalla distruzione? Alcuni dicono di no: Greenpeace, ad esempio, è un movimento le cui azioni sono basate proprio sulla protesta non-violenta. Al contrario, altre organizzazioni sostengono che lo stupro della natura da parte dell’uomo sia talmente violento e intenzionale da legittimare il ricorso a metodi altrettanto feroci per porvi fine. Fra i sostenitori di questa posizione c’è la Sea Shepherd Conservation Society, i cui membri non esitano a definirsi eco-pirati nelle intenzioni tanto quanto nelle azioni in difesa della fauna e dell’ecosistema marino.
Se non sapete da che parte schierarvi, potrebbe esservi utile la lettura del romanzo di Abbey. Oltre a qualche ora piacevole, potreste sviluppare un’idea sulla questione e, forse, dotarvi di qualche battuta carica di saggezza nel caso incontraste un ambientalista di quelli scapestrati (l’unica sotto-specie pericolosa, tutti gli altri sono pezzi di pane; garantisco io) in futuro.
Non diventi indiano perché t’infili una fascia in testa. Non entri in armonia con la natura perché sembri uno spinello che cammina.
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I sabotatori, edito da Meridiano Zero (2001).
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