
Petra Delicado non è un'intellettuale. O perlomeno tenta di non farsi considerare tale. In polizia questo basterebbe a farsi emarginare senza bisogno di essere ''negra o gitana''. Con ogni probabilità questo è il motivo per cui ha scelto di entrarci, in polizia, per lottare contro ''un eccesso di riflessione che minacciava di sommergermi ad ogni minimo problema''. Perchè Petra è comunque una donna. E si sa, le donne sminuzzano ogni singolo evento in tanti pensieri che creano un labirintico alveare nel quale è facile perdersi. Ma le donne, si sa anche questo, sanno essere pragmatiche. Così induzione, dedizione, azione. Concretezza e praticità. Basta con le ''assorte meditazioni intime al banco di un bar''. Al bar, a bersi un chinchòn ci si va comunque, ma per risolvere i casi che affliggono la bella ramblas come i quartieri periferici di una Barceloneta sempre più negra.
Nessuna ispirazione dai libri gialli o film d'azione, inseguimenti, fiumi di whisky e vita dura. Niente di tutto ciò. Ma neanche bebè da accudire, domestiche da gestire, serate con mariti (due ex-mariti, Hugo e Pepe per la precisione) sul divano davanti la tv. Ai soufflè, così come ai gerani, non ha rinunciato, questi ultimi a continuo rischio ci congelamento, i primi ''contemplati con una moderata dose di azione''. Petra è una donna così. In lotta continua contro un sistema, quello della polizia e della società stessa, disorientato dalla difficoltà di inquadrare questi nuovi e strambi esseri-donna ancora non ben identificati. Come i criminali che affollano la quotidianeità di una Barcellona in continuo cambiamento. Perchè si sa, i grandi cambiamenti, nella donna come nella società, partono dalle piccole cose, ''come in tutti i progetti grandiosi, l'importante è studiare prima la scenografia, il resto non è che una serie di conseguenze verso il lieto fine''.
E la nostra scenografia è fatta di lunghe notti, bar miserabili, violenza e levatacce all'alba, sigarette, caffè, litri di cerveza e chinchòn, mentre si cerca di risolvere esistenze deprimenti e disperate, protagoniste di una lotta di classe sempre più feroce. Fortuna vuole che Petra non sia sola. Fermìn Garzòn arriva dall'entroterra spagnolo, dalla pigra e lenta Salamanca, con la sua pancia, uno scetticismo leale e un approccio alla vita popolaresco che esprime in metafore simil- filosofiche che, come ovvio, fanno infuriare la nostra intellettuale. Tra i due è subito odio. Ma si sa, tutte le grandi amicizie nascono così. (Riti di Morte, Sellerio, 2002). Ogni volta che Fermìn descive la donna come un fiore perfetto da tenere su un piedistallo, ecco che il nostro commissario donna esplode in una volgarità tanto più ricercata quanto più retrò è l'idea del compagno ispettore sul genere femminile. Si potrebbe non finire mai, eppure il bancone di un bar e un pasto catalano di piccole bettole spagnole sanciscono questo scontro tra titani trasformandolo in amicizia sincera.
Così tra un bolero, dove secondo Fermìn c'è sempre ''l'autentica verità dell'amore'', e una cerveza, la messa in discussione diventa per i nostri qualcosa di imprenscindibile, qualcosa di ''più nocivo del caffè, delle sigarette e dei grassi animali'', qualcosa di cui la gente ad un certo punto muore, del ''domandarsi un bel giorno se le convinzioni di tutta una vita valessero la pena o no''. Qualcosa di cui si muore, o si vive. Sopravvive, per non peccare di eccessivo ottimismo. I nostri Petra e Fermìn trovano in questo la chiave risolutiva dei casi che gli vengono affibbiati. E, in fondo, delle loro stesse vite.
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