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Principesse Per Sempre Felici e Contente?

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È verità incontestabile che Papà Walt sia stato in grado, nel corso degli anni, di estrarre dal cappello una serie di magici conigli d’impareggiabile bellezza. O forse sarebbe più corretto dire conigliette; conigliette corona-munite d’impareggiabile bellezza.  

Senza voler togliere nulla alle controparti maschili (e il registratore VHS solo sa quanti progetti matrimoniali io abbia fatto trasportata dal fascino selvaggio delle Notti d’Oriente), sono le Principesse ad aver forgiato la Storia dei lungometraggi Disney, promotrici indiscusse degli incassi da record al botteghino fin dal 1937.

Civettuole come Megara, fiere come Mulan, o curiose come Belle, c’è stata una principessa in cui immedesimarsi per ciascuna di noi principesse contemporanee. Abbiamo ballato con Aurora, cantato con Ariel, e soprattutto abbiamo sognato, un giorno, di incontrare il Principe Azzurro a bordo del tappeto volante, o ancora meglio, spiaggiato incosciente sul bagnasciuga – inguaribili crocerossine che non siamo altro.

Perché se c’è una cosa che tutti i Grandi Classici Disney non hanno mai smesso di ricordarci è che il Vero Amore esiste, è là fuori, ce n’è per tutte, e nonostante le avversità, trionfa sempre! Un costante e consolante “e vissero per sempre felici e contenti”.

Tuttavia la favola urbana delle principesse moderne non segue sempre alla lettera questo miliare copione.
Non c’è bisogno di recarsi nel Regno di Lontano-Lontano per imbattersi nel Lupo Cattivo travestito da Azzurro; i Jafar e i Frollo stanno in agguato dietro l’angolo, nascondono le loro mostruose fattezze dietro abbaglianti armature e bianchi destrieri, e molte donne cresciute a pane e Disney hanno dovuto farci i conti sulla propria pelle. Letteralmente.

Le cifre sono spaventose: solo in Italia una donna su cinque è bersaglio di molestie sessuali e quindici sono le vittime di stupro ogni giorno. Il 70% degli omicidi in Italia ha per vittima una donna; assassinata – nel 55% dei casi – da quello che lei considerava il suo compagno di vita. Il suo Principe Filippo.

Quel che serve è informazione per garantire la prevenzione. Perché se è vero che nessuno deve poter distruggere il nostro inguaribile, romantico diritto all’E Vissero Per Sempre Felici e Contenti sugellato dal Bacio del Vero Amore, dobbiamo anche essere in grado di imparare a riconoscere quei segnali che di cavalleresco hanno davvero poco o niente e di avere il coraggio di denunciarli qualora dovessero presentarsi. Il coraggio di parlare.

Ed è proprio del dramma della parola che tratta Speak. Le Parole Non Dette, dell’americana Laurie Halse Anderson. Il romanzo, vincitore di numerosi riconoscimenti letterari, ha fatto anche da sceneggiatura all’omonimo film del 2004 con protagonista una giovanissima Kirsten Stewart.

La fiaba è ambientata in quel Regno Incantato (e ricco di insidie) che è il Liceo. Principessa della storia è Melinda, tredici anni, che per sfuggire dalle grinfie di una Madre-Strega Cattiva si reca di nascosto al Ballo estivo, senza zucca e scarpette di Cristallo, certo, ma per il resto le funzioni caratterizzanti la Morfologia della Fiaba di Propp - tanto care ad ogni studente di qualsivoglia facoltà umanistica – ci sono tutte. Manca solo il Principe
Ed è proprio quando tutti cominciamo a chiederci che fine abbia fatto il nostro eroe, che in scena entra Andy: figo, quarterback e terribilmente popolare tra a scuola, ça va sans dire.

Il tanto agognato bacio c'è, ma non è quello del Vero Amore, e il Principe purtroppo non si ferma lì. Andy diventa la Bestia, porta Melinda nel bosco e abusa di lei.  
È l'inizio di un incubo per la ragazzina: i corridoi della Merryweather High School diventano un labirinto più ostile di quello che circonda il castello della Regina di Cuori, gli amici di un tempo prendono le sembianze ambigue di Gatti e Volpi, e l'incapacità di parlare a causa dell'irrazionale vergogna e delle ripetutte minacce del suo aguzzino, fanno sprofondare Melinda in una depressione profonda come la foresta di Taron e la Pentola Magica e ad un cupo isolamento dal finale irriversibilmente incrinato dove anche quell'ultima speranza pare esser destinata a morire.

Ma questa è una fiaba, a "postmodern revisionary fairy tale" come definita da Barbara Tanert-Smith, professore associato presso la University of Massachussetts, ma pur sempre una fiaba. E come tutti i sopracitati studenti di umanistica nuovamente sapranno, è proprio quando il buio è più denso che qualcuno si ricorda di accendere la luce (citando un altro illustre professorone).

Niente spoiler (che qua su Finzioni applichiamo una talebana zero tolerance policy) ma ve lo devo dire, lo speranzoso Happily Ever After c’è. Molti lo hanno definito un po’ scontato, eppure permettetemi, io di scontato credo ci sia ben poco purtroppo, considerato il raro lieto fine con cui queste fiabe noir troppo spesso si concludono.

Nonostante l’etichetta young adult, il romanzo della Anderson è una preziosa lettura, consigliata a tutte le Principesse in carne ed ossa, che siano madri, figlie, adolescenti o rampanti trentenni in carriera. Da affiancare sul comodino al VHS della Bella Addormentata che ancora tutte abbiamo, per porre un seppur tardivo rimedio agli insegnamenti di un’infanzia forse un po’ troppo edulcorata, che forse non sempre ha avuto la forza di metterci in guardia dall'amara vertà che dietro la Bestia non per forza si celi un principe da salvare.

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