State sorvolando la costa occidentale della Svezia. Il vostro obiettivo, Oslo, è poco più a nord. Se schiacciate il naso contro il finestrino e guardate giù potete vedere la linea costiera, frastagliata, e il mare, pieno zeppo di isolette. La cittadina sotto di voi si chiama Fjällbacka e conta meno di mille anime. Notate le casette colorate, il porticciolo e le barche che fanno la spola con l’antistante isola di Valö. È giugno, la neve si è già sciolta tempo fa. Presto torme di svedesi lasceranno le città per passare l’estate qui, come era solita fare Ingrid Bergman e dove quarantun anni fa è nata la scrittrice Camilla Läckberg.
Ora che Fjällbacka è già lontana tornate a concentrarvi sul libro che avete in grembo. Nascondete un sorriso mentre sfogliate le pagine. Già, perché il romanzo in questione, il cui titolo è Il segreto degli angeli (Marsilio), è ambientato proprio nella cittadina che avete appena sorvolato. É l’ottavo episodio di una serie che ha fatto la fortuna della scrittrice che laggiù ci è cresciuta. Avete letto tutti i libri della serie e ora, mentre il piccolo aeroplano sul quale state volando inizia la discesa verso la capitale norvegese, vi chiedete che cosa vi spinga a correre in libreria ogni volta che viene pubblicato una nuova avventura di Erica e Patrick. Che incantesimo vi ha lanciato contro Camilla Läckberg?
Vi ripetete che la colpa è della passione per i gialli svedesi che da qualche anno dissangua il vostro portafogli e riempie gli scaffali della vostra libreria. In effetti, gli ingredienti che vi rendono ingordi ci sono tutti anche nell’ottavo romanzo. Crimini efferati? A volontà. Una spumeggiante coppia di detective? Certo. Un passato oscuro e pericoloso? Ovvio. Ricche famiglie senza scrupoli? Neanche da chiedere. Misteri, identità celate, razzismo? Check, check, check. Ma allora, che cosa vi incolla a questi libri, impedendovi di cominciare a leggere quegli autori italiani che sono in cinquina allo Strega e sui quali non sapete mai sputare un giudizio quando gli amici ve ne parlano davanti a una birra?
Chiudete il romanzo, prendete il vostro fido bloc-notes e dividete in due il foglio. Pro e contro. Il metodo più vecchio del mondo. Mordicchiate l’estremità della matita e poi cominciate a scrivere. Lo stile del libro è piuttosto insipido, tanto che alcuni lo definirebbero commerciale; in fondo è Camilla Läckberg, mica Zadie Smith. L’aspetto “crime” e investigativo non vi soddisfa appieno, per cui non vi sembra una qualità. E l’introspezione? Il conflitto interiore? I temi trattati? Scuotete la testa e strappate la pagina. Tornate a sfogliare Il segreto degli angeli. Consultate le pagine a cui avete fatto un’orecchia, cercate col dito i passaggi sottolineati. Non sono molti: due soltanto. Ricordate che era così anche per i libri precedenti.
Primo: Erica e Patrick. Quando eravate nella piccola libreria a qualche isolato da casa vostra già sapevate che Erica si sarebbe cacciata nei guai a causa della sua curiosità di scrittrice. E che avrebbe bisticciato a più riprese con la suocera. Avreste potuto scommettere sul fatto che Patrick sarebbe corso da qualche parte guidando come un forsennato. Sono loro il primo punto di forza dei libri ambientati a Fjällbacka. Vorreste andarli a trovare, cenare con loro e guardare i loro tre figlioletti trasformare il salotto in un parco giochi. Li avete visti conoscersi, fidanzarsi e procreare. Siete cresciuti con loro. O loro con voi. E lo stesso vale per tutti gli altri personaggi ricorrenti. Sono compagni di viaggio. Lo erano anche Lisbeth Salander e Mikael Blomkvist, blaterano i vostri amici con la faccia che dice, eloquente: loro sì che erano fighi. Voi fate spallucce, Erica e Patrick sono i loro cugini di provincia. Spericolati sì, ma a piccole dosi.
Secondo: scavare nel passato e risolverne gli errori. Ogni nuovo libro di Camilla Läckberg è un salto nel passato. Lo sapete e non vedete l’ora che il problema di turno venga messo a fuoco. Vi viene mostrato un nodo. Di solito è qualcosa di brutto che nel passato si è aggrumato a causa di scelte sbagliate, cattiveria, vergogna, vendetta o un semplice scherzo del destino. Anche nell’ottavo libro è così, e le radici del male hanno origine in profondità, agli albori del secolo scorso. Deducete dunque che il bisogno fisico di scoprire quello che è successo, di capire come i semi marci piantati in passato avvelenino il presente di Fjällbacka e la sua gente è ciò che vi incolla alle pagine. Tanto che quando giungete agli ultimi capitoli, nei quali la matassa viene districata e il grumo sciolto, la pace vi entra dentro le membra come una sorsata di camomilla.
C’è soltanto una cosa che proprio non sopportate, questo va detto. Sulla quarta di copertina viene chiamato “page-turner”, ma per voi è il trucco del diavolo. Alla fine di un capitolo su due de Il segreto degli angeli viene scoperto qualcosa. Mai una volta che la Läckberg vi dica subito che cosa si è venuto a sapere, che cosa è stato scoperto! Sempre a rimandare. E a voi vien voglia di scagliare via il libro, perché avete un impegno e prima di poterci tornare sopra passeranno delle ore. Poi sorridete, perché questa trovata, una delle più vecchie nel mondo del giallo, è quello che vi ha fatto divorare il libro in neanche due giorni.
L’aereo tocca la pista e voi sobbalzate. Riponendo il libro nello zaino vi appuntate mentalmente di cercare subito l’autonoleggio. Un salto a Fjällbacka non ve lo toglie nessuno. Perché di aspettare il prossimo libro non se ne parla, meglio andare a vedere di persona cosa combinano da quelle parti.
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