
Io lo avrei intitolato La casa nel tempo di confine. Perché a mio parere il libro di Ilaria Vitali parla proprio di questo: dell’estate magica e terribile in cui una ragazzina attraversa il confine fra infanzia e adolescenza.
Solo poche settimane fa Gabriella si lamentava del fatto che gli scrittori sembrino incapaci di ricordare e descrivere cosa significhi essere bambini. Probabilmente non ha (ancora) letto La casa ai confini del tempo, che costituisce infatti un eccezionale esempio di come un adulto sappia immedesimarsi perfettamente in una undicenne, descrivere il suo sguardo unico e i moti segreti del suo pensiero e del suo cuore.
Tutti i piccoli fatti quotidiani, dai più minuti particolari della vita di tutti i giorni alle tragedie nazionali, vengono descritti attraverso gli occhi dell’undicenne Zoe: acuta e ingenua al tempo stesso, capace di cogliere dettagli inconsueti, sensibile ai minimi cambiamenti nelle cose e nelle persone. Il suo sguardo va al di là del palcoscenico del mondo e si spinge dietro le quinte: è lo sguardo di chi è capace di cambiare radicalmente prospettiva, magari facendo la verticale contro il muro e osservando il mondo da sotto in su.
Leggendo questo breve romanzo ho rivissuto le mie interminabili estati trascorse nella casa di montagna di mia zia, dove la frenesia della città viene sostituita da un silenzio in cui i pensieri e l’immaginazione trovano terreno fertile. Sin dalla prima pagina serpeggia nel racconto un’inquietudine sotterranea, una sensazione via via più concreta che le cose non siano al loro posto, che il mondo invii segnali minacciosi, che ci siano segreti non detti. In un certo senso non serve neppure il colpo di scena finale per giustificare questa angoscia: è l’ansia di chi comincia ad intuire che il mondo è pieno di problemi difficili e complessi, di chi ha sfiducia negli adulti e teme di diventare come loro, di chi avverte che grandi cambiamenti sono in agguato e ha paura del futuro. Io questa inquietudine la ricordo: è l’apprensione di chi è troppo piccolo per molte cose e troppo grande per molte altre.
Ma prima che l’età adulta si imponga con prepotenza c’è ancora tempo per un’estate incantata. Nell’ultima stagione dell’infanzia di Zoe ci sono aquiloni che non volano, case pericolanti, una tribù di zingari circensi, tortelli di zucca, una gatta troppo grassa e infinite corse in bicicletta attraverso la Pianura Padana arsa dal sole. E poi c’è la scoperta della musica jazz, delle poesie di Leopardi e del pensiero di Bergson. Ma il frastuono del mondo riesce tuttavia a penetrare in questa piccola bolla dorata: il telegiornale parla di Tangentopoli e della Strage di Via d’Amelio, così come delle Olimpiadi di Barcellona e della cocente sconfitta nella ginnastica ritmica di Maria Petrova, la cui sorte sembra lo stigma di un mondo in cui né la bellezza né l’impegno né il sacrificio né il talento riescono a vincere l’ingiustizia. Nell’estate di Zoe l’incanto e la spensieratezza dell’infanzia sono costantemente minacciati dai segnali sempre più insistenti di una realtà che distrugge ogni idillio.
Se questo è un romanzo su cosa significa crescere, l’ultima scena, poetica e toccante, sembra dare una risposta interessante: crescere è accettare che il tempo scorre in una sola direzione, dal passato verso il futuro, e che il destino degli uomini non è quello di rimanere fermi, ma di muoversi, viaggiare, accettando errori e sofferenze, ma senza mai fermarsi. I segni inquietanti che Zoe avverte per tutta l’estate non sono altro che lo scricchiolio di un treno che si mette faticosamente in moto dopo una lunga sosta.
Ilaria Vitali, La casa ai confini del tempo, 0111 edizioni, 2012
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