Fino a quest'anno avevate solo il New York Times cui fare affidamento e/o contro cui imprecare per la fatidica lista dei 100 libri più belli dell'anno. Ma quel tempo è passato. Quest'anno a ogni redattore di Finzioni è stato chiesto di scegliere il suo libro preferito pubblicato in questo 2014, così adesso potete farvi avanti con noi e chiederci perché non abbiamo messo questo o quello, che questo o quello sono molto meglio, etc etc. (Però intanto fate ancora in tempo a scappare in libreria e mettere sotto l'albero).
Harden Blein, Fuga dal campo 14 (Codice Edizioni)
Perché ci sono vite che non sono vite ma ossessioni ed è giusto che il peso venga portato da tutti, un po', a turno per far sì che il mondo non cada.
Antonio Marchiorello, Vita, opere e miracoli di Toni Marchiorello detto "Bussola" (Inveneto)
È il libro scritto dal prozio della mia migliore amica. Si tratta della raccolta di tutti i suoi viaggi e le sue avventure: il personaggio ha avuto tipo 6 infarti, ha 92 anni e continua a viaggiare per il mondo scalando montagne, perdendosi e facendosi trarre in salvo da improbabili sherpa sulle Ande.
Anya Von Bremzen, L'arte della cucina sovietica (Einaudi)
La cucina è solo un (delizioso) pretesto. Sotto strati di uova di salmone e burro che sprizza dal pollo alla Kiev c'è la storia di una famiglia russa come tante, attraverso tre generazioni. Mi sono commossa nel ritrovare tutto delle mie esperienze moscovite: le mie amiche russe transfughe, i loro nonni ritratti nelle eleganti divise della Marina, e certi padri che non volevano mettere la testa a posto, i sacchetti di plastica come feticcio, la dannazione del sovieticume, la collezione di carte di caramelle americane, l'Arbat, il lerciume delle kommunalky, la paura dei delatori e il semplice gossip da cucina, l'ossessione sovietica per il salame e quella odierna per il sushi. Bellissimo.
Haruki Murakami, L'incolore Tazaki e i suoi anni di pellegrinaggio (Einaudi)
Perché senza un libro di Murakami io non sono completamente felice. E questo libro mi fa venire voglia di imparare a suonare il pianoforte, o almeno ascoltare musica classica mentre leggo o scrivo.
Maggie O'Farrel, Istruzioni per un'ondata di caldo (Guanda)
Perché parla di una famiglia in cui ci si vuole bene ma ci si sta sulle scatole. Dove ognuno ha i suoi problemi – che non condivide sempre con gli altri come nelle famiglie da mulino bianco in cui tutti si dicono tutto – ma in cui non ci sono i drammi incredibili o istinti criminali. Una famiglia normale.
Jonas Karlsson, La Stanza (ISBN edizioni)
Perché troppe volte non ci rendiamo conto di quanto la frustrazione che proviamo sul lavoro possa trasformarsi in un vero e proprio disturbo mentale, un'ossessione che mina la nostra serenità.
Tom Gauld, Siete solo invidiosi del mio zaino a razzo (ISBN edizioni)
Perché le strisce di Tom Gauld, così ricche di citazioni letterarie da risultare irresistibili per ogni amante dei libri, hanno la capacità di farti riflettere sugli aspetti più comici e assurdi della vita, ridendoci su. Il tutto accompagnato da disegni magistralmente perfetti.
Emmanuel Carrère, La settimana bianca (Adelphi)
Perché è quello che io chiamo un "libro-seme". Di quelli che divori in poche ore, pensando di averli digeriti, che ti siano scivolati addosso tra una fermata della metro e l'altra. E poi, improvvisamente, l'emozione ti coglie da dentro, e quella breve storia che pensavi di aver archiviato diventa il tuo pensiero fisso, tanto da levarti il sonno. Ed è una cosa che pochi libri riescono a fare.
Francesco Maino, Cartongesso (Einaudi)
Questo è un libro un po' di parte, nel senso che è geograficamente di parte: è un libro di un autore veneto imprevisto che parla del Veneto come sineddoche dell'Italia, e ne parla con parole allo stesso tempo molto feroci e molto poetiche.
Dave Eggers, Il Cerchio (Mondadori)
Perché mi ha presa, mi ha tolto i vestiti, mi ha messa davanti allo specchio e mi ha detto "È così che vuoi vivere?" "È così che vuoi diventare?" Per me è stato un po' come quel libro miracoloso di cui tanto si parlava sullo smettere di fumare: eppure non mi ha sgridata o spaventata, né mi ha raccontato chissà cosa di incredibile. Per ora, sta funzionando, ma per capire cosa intendo va da sé che dovete leggerlo!
Thomas Wolfe, O’Lost. Storia della vita perduta (Elliott)
Ho comprato questo libro appena è uscito per Elliot Edizioni. Era solo maggio, ma mentre lo leggevo mi dicevo: questo è il libro dell’anno. Oggi è il 18 dicembre e ancora me lo dico.
O Lost è il libro dell’anno innanzitutto perché il capolavoro di Thomas Wolfe viene restituito nella sua versione originale – priva delle revisioni sostanziali apportate da Max Perkins in occasione della prima edizione, nel 1929 – per la prima volta in Europa e questa prima volta europea è tutta italiana. E poi perché la scrittura di Thomas Wolfe è così potente e poetica che vi troverete a leggere due o tre volte alcuni pezzi di queste 760 pagine per l’incredulità di aver letto qualcosa di così bello e la volontà di fissarlo nel tempo.
Percival Everett, Percival Everett di Virgin Russell (Nutrimenti)
Ho aperto questo libro con molta curiosità ma poche aspettative, pensando di trovarmi a leggere la storia di un rapporto tra un padre in ospizio e un figlio degenere. Scelto perché ho un debole per gli ospizi, soprattutto dopo aver letto Cloud Atlas. E insomma mi ritrovo invece di fronte a un trattato spezzettato e liricissimo e messo in pratica più che spiegato della narrativa, del linguaggio e della vita. Capirete la sorpresa. Letto mesi fa e ancora mi capita di riaprirlo e leggerne qualche pagina. Provare per credere.
Michele Mari, Roderick Duddle (Einaudi)
Roderick Duddle è il primo classico contemporaneo di cui sono stata certa nel contemporaneo. Voglio dire scritto adesso, tipo ieri, quindi certa a un giorno di distanza. È un libro che leggi e pensi lucidamente non è di nessun tempo e nessun luogo, semplicemente. Appartiene a tutti e non è di nessuno. E poi è un po’ infinito in qualche modo, perché si porta dietro un sacco di altre cose, una specie di libro frattale forse, con mondi di mondi di mondi. In pratica quando lo chiudi hai appena iniziato a leggerlo. Calvino l’ha detto meglio: Chiamasi classico un libro che si configura come equivalente dell'universo, al pari degli antichi talismani. E questo, direi, è un bell’indizio per dire la perfezione.
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