Vai in Palestina una volta, basta una sola volta nella vita, e sei hai la minima inclinazione spirituale, hai finito. Ne basta un briciolo, una puntina, un infinitesimo, e non troverai mai più un luogo altrettanto familiare e straniante e straziante. Non ti sentirai mai più legato in quel modo a nessun altro posto, nemmeno a casa tua. Gerusalemme, come l'origine del mondo. La ahdan del mattino è il richiamo a una parte antica del tuo cuore.
E se hai visitato la Palestina, basta una volta sola nella vita, non puoi leggere Ogni mattina a Jenin senza voler smettere di leggere all'incirca da pagina 40, forse prima, perché è troppo doloroso. Non puoi arrivare alla fine senza aver ingoiato un mare salato di lacrime.
Se hai visto la Palestina, anche di sfuggita, una volta sola nella vita, non puoi seguire la storia della famiglia di Amal, con la vocale lunga che significa speranza, senza essere immerso in una nostalgia e tristezza e bellezza senza fine, alla vista di 'Ain Hod, il paesino a est di Haifa, dove crescevano fichi e olive.
Ascolti la storia di Dalia la beduina, con la cavigliera che tintinnando si faceva largo verso i figli, e verso il cuore di Darwish e Hassan, i figli di Yehya e Bassima, come se la vedessi ora davanti a te, o come se l'avessi già vista, da qualche parte, in qualche passato. Ascolti le storie di Darwish e i suoi cavalli e di come tutto sia andato male troppo presto, come se li avessi visti in sogno. E continui ad ascoltare di come i figli di Dalia, Yussef, Amal e 'Ismail si siano fatti strada in una terra che si tramutava da dolci colline verdi in due chilometri quadrati e mezzo di case di argilla e cemento in cui vivono migliaia di persone in una contingenza verticale che li ingabbia in un'infinita sovrapposizione di passato, presente e futuro. Ascolti la storia di Amal e del suo amore, di Yussef e del suo amore, come se stessi guardando le stelle con loro dal terrazzo di una baracca nel campo profughi di Jenin, circondato dall'odore di narghilé alla mela e miele, con le improbabili e tutto sommato miracolose zagharid delle donne palestinesi dall'anima d'acciaio, guardando gli uomini giocare a backgammon.
Passi attraverso la storia di Amal in Pennsylvania e poi in Libano, come se ci fossi tu, all'alba, a osservare come millimetro per millimetro la fertile bellezza della Palestina, sposa del Mediterraneo, sia diventata “una terra brulla e desolata, cosparsa delle macerie di vecchie case, pneumatici bruciati, involucri di proiettili e piccoli ulivi che si sforzano di crescere”.
Ascolti la tragedia di due persone, che è la tragedia di un popolo intero, mentre ti sembra di sentire sotto la lingua il sapore della maklube che Amal prepara a suo fratello: “riso indorato dall'intingolo di agnello, melanzane e zenzero, con salsa di yogurt e cetrioli, pinoli tostati e cipolla croccante”.
E sei così immerso nella tragedia di una famiglia, che è la tragedia di un popolo, che comincia a sembra laconico anche a te un semplice “Grazie”, e potresti quasi iniziare a punteggiare la gratitudine di benedizioni:
“Che Dio benedica le mani che mi porgono questo dono”, “La bellezza è nei tuoi occhi che mi vedono graziosa”, “Che Dio non respinga mai le tue preghiere”, “Che il prossimo pasto che cucinerai per noi sia per festeggiare il matrimonio di tuo figlio, il diploma di tua figlia, la guarigione di tua madre”.
Guardi le colline intorno a Gerusalemme e alla Cisgiordania trasformarsi in un reticolo di insediamenti “con leccati giardini verdi e i tetti rossi che si metastatizzavano nelle vallate come un eritema della Terra” e intorno “le fatiscenti case arabe”, e se sei stato una volta sola in Palestina sai di cosa si sta parlando e vedi, oppure vedi lo stesso pur non avendo mai visto.
Se sei stato in Palestina non puoi leggere Ogni mattina a Jenin senza sentirti personalmente coinvolto, e chiamato in causa, come se Amal fosse tua zia, Sara tua sorella, Yussef tuo zio, Hassan tuo nonno e Dalia tua nonna, Darwish il prozio. Se lo leggi e non hai il cuore spezzato è perché il cuore non è al suo posto. Se non sei stato in Palestina, leggi il romanzo di Susan Abulhawa e poi vacci.
Susan Abulhawa, Ogni mattina a Jenin, Feltrinelli 2011
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