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Alberto Riva – Ghana VS USA

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Parte tutto molto rapido e fantasioso. Bella partita. Dopo neanche cinque minuti Boateng segna per il Ghana. Non me lo ricordavo assolutamente così com'è, con quel ciuffo, Boateng. Per altro è l'unico giocatore che conosco. Anzi, di cui conosco il nome. 

Ci cono nomi di calciatori che sono più interessanti dei giocatori stessi e anche per chi, come me, non gli importa quasi una cippa di calcio, i nomi servono a completare la lacuna sul resto. Metti che sei a una raccolta fondi del PD e ti sei appisolato, qualcuno nomina improvvisamente «Zidane» (altro bel nome, un signor nome) e allora ti puoi infilare, intervenire. «Certo, Zidane!». Annuisci. Opini. «Zidane Zidane! Quello della testata!» (mica si può restar fuori durante una discussione su Zidane!). C'era quell'altro nome che mi piaceva, quello dell'alcolizzato duro, com'era? Altro nome mica da ridere. Gascoigne. Sì, Paul Gascoigne! Nel nome il destino. Uno che è passato dalla Lazio alla Cina (per forza, pensi, poi si è sfracellato di Red Bull). Comunque sia, la partita Ghana Vs Stati Uniti è una bella partita. Ovviamente io tifo per i ganesi. Non sto neanche a dirlo. E in pochi secondi vengo accontentato di nuovo. Rete dalla distanza di Opare, un grandissimo tiro (bel nome, tra l'altro). Traiettoria imprendibile. Il portiere Usa, T.Howard (e come poteva chiamarsi se no?) ci prova sconsolato, ma non può, non ce la fa… Gol!

Mia moglie mi piazza un palmo aperto in faccia. «Io vado a letto, tu cosa fai?».
La vedo attraverso una lenzuolata di ghiaccio secco, come si usava nelle trasmissioni del sabato sera su Canale 5 con Franco Franchi. Fumo da tutte le parti. 
«Tu resti sul divano?».
«La partita».
«Ho sonno. Io vado».
La blocco. «Stavo dormendo?». 
«Vedi un po' tu».
«Ma la partita?».
«Quale partita? Non abbiamo manco la televisione». 
 
Già è vero. Non abbiamo la televisione. Se vedo una televisione la butto giù dalla finestra. Anche se quando ci sono i mondiali un po' ti manca. E' l'unico momento. Una volta capitava anche durante Sanremo. Peccato non averla. Una sbirciatina alla scenografia. Magari un paio di canzoni. Un paio di ospiti. Il finto suicida che minaccia di lanciarsi dalla galleria. Il collegamento col centro operativo dove confluisce il voto popolare. Gli arrangiamenti dell'orchestra tutti rigorosamente uguali, che a cantare sia Franco Simone oppure Tom Jones. 
Così stavo sognando! E miei gol di Boateng e Opare? 
 
Stadio di Natal, capitale del nordest brasiliano famosa per il sole e la squadra dell'América Futebol Club dall'allegra maglia bianca e rossa. 
Vado su internet ma la partita non c'è. Non passa. Manco in streaming. Che ore sono? Mezzanotte e dieci. Il fatto è che raramente sono sveglio a quest'ora. 
Mi chiedo: come potevo anche lontanamente pensare di assistere a questa partita di mezzanotte? 
 
Accendo la radio e trovo una stazione privata dove commentano la partita. Sembrano la Gialappa's ma non sono sicuro. Lo studio pare pieno di gente. Ci sono ragazze, anche. E collegamenti esterni. Scopro che la partita ha preso una direzione un tantino diversa da come la sognavo io. E cioè, dopo 29 secondi dall'inizio gli americani hanno segnato. E' stato il gol più rapido del mondiale. Ed è capitato a me. A mezzanotte. 
 
Questo Dempsey ha segnato prima ancora che iniziassero a giocare. Praticamente ha segnato durante l'inno. Passa qualche minuto di ascolto radiofonico e scopro che Boateng non è neppure in campo. Sento nominare nomi che mastico poco. Mensah. Boye. Muntari. Capisco che ai telecronisti piace molto nominare l'allenatore: Appiah. Tra gli americani sento dire i nomi di Cameron. Il portiere Howard. Suona bene Bedoya. Bedoya è un nome perfetto. Mi concentro sui nomi, più che altro. 
Sdraiato sul divano, a forte rischio riaddormentamento, penso a Natal. Questa città del litorale brasiliano da ottocentomila abitanti. Equatore. Pare che il vice presidente degli Stati Uniti sia lì pure lui. Biden. Nome da calciatore, da attaccante americano. 
 
A Natal se li ricordano bene gli americani. Durante la Seconda Guerra c'era una base aerea. In quel punto il Brasile è come un naso aquilino che cerca di annusare l'Africa avvicinandosi più che può. L'Oceano Atlantico striscia in mezzo come un fiume, però molto più grande del Rio delle Amazzoni. E più misterioso. 
Gli aerei di Roosevelt partivano da Natal verso il Senegal e da lì tentavano di colpire i nemici in Nord Africa o chissà dove. 
 
Natal è stata un po' una Napoli tropicale. A Natal, nel 1942, i brasiliani han visto le prime gomme da masticare e han bevuto la loro prima Coca Cola. Lì, il dittatore Getulio Vargas ha stretto il patto con Roosevelt grazie al quale cambiò bandiera, mollando i fascisti e i nazisti, ai quali pure aveva fatto qualche regalo, come l'ebrea Olga Benario, moglie del comunista Carlos Prestes, rimandata in Germania sebbene aspettasse una figlia, e poi morta in una camera a gas; la bambina però sopravvisse e tornò in Brasile dove riabbracciò il padre, vecchio rivoluzionario caduto in povertà. 
Penso a Natal. Il Brasile è grande. Non basta il Mondiale a farlo capire. Nessuno forse lo capisce. Un po' come il sogno che stavo facendo. Indossavo una maglia del Brasile e tifavo Ghana. Una maglia qualsiasi è la maglia del Brasile. 
Le voci disturbano. Meglio comunque le voci che le immagini. In tutti i modi spengo. Verrò a sapere poi che nel secondo tempo il Ghana ha segnato, al 37°, con Ayew ma nel giro di un minuto un certo J.Brooks ha riportato gli Usa in vantaggio.
 
A quel punto io sto di nuovo dormendo. Forse sognando. 
Natal. Gli aerei che decollano nel sole verso l'Africa. 
Nel deserto dove c'era un aeroporto oggi c'è uno stadio. Ci giocherà anche l'Italia. Si chiama Arena das Dunas. Che nome.  
 

 

 

 

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