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Salone del Libro, tra record e crisi

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Photo credit: Getty Images

Diciamocelo, siamo tutti in qualche modo appena riemersi dalla ventisettesima edizione del Salone del Libro di Torino, conclusasi lunedì 12 maggio. Chi era a Torino per lavoro è reduce da una faticosa cinque giorni di presentazioni e di pubbliche relazioni; chi era là per divertirsi, si è portato a casa con buona probabilità un hangover da (s)ballo letterario e qualche sporta di libri; chi non era là, ha vissuto tutto o quasi su Twitter, a partire da un pre salone animato dall’hashtag #ilsalonechevorrei, lanciato dall’account di Bookoliko.

Eccoci dunque al post Salone, con alcuni dati da commentare. È stato l’anno dei record, come ci hanno confermato i numeri ufficiali diffusi ieri. Record che non ha riguardato solo il numero di visitatori, ma anche le vendite, dato quest’ultimo che ha fatto gridare al miracolo dopo anni di contrazione (anche se si era registrata una piccola ripresa l'anno scorso). Ecco i numeri: gli ingressi sono stati 339.752 con un aumento di circa il 3% rispetto all'edizione precedente; i visitatori sono tornati anche ad acquistare con un incremento di vendite, rispetto al 2013, che oscilla fra il 10% e il 20% e il pubblico delle sale principali è cresciuto del 15%, senza contare gli spettatori del Bookstock Village, CasaCookBook e Incubatore. 
Tutto esaurito per i nomi di maggiore richiamo: sold out per Fabio Volo, i due masterchef Carlo Cracco e Bruno Barbieri, il dialogo tra il cardinale Gianfranco Ravasi e Claudio Magris, Federico Rampini e il suo spettacolo, l'incontro con Luis Sepulveda, Margaret Mazzantini, Joe Lansdale e Niccolò Ammaniti, e infine Susanna Tamaro, madrina di questa edizione.
Anche la novità di quest’anno, il Progetto Officina affidato allo scrittore Giuseppe Culicchia e interamente dedicato agli editori indipendenti, ha registrato incrementi di vendite anche del 100% rispetto all'anno scorso.

Basta questo per dire che la colomba bianca che ha segnato la fine del diluvio si è posata sull'arca del Lingotto, si è chiesto il direttore editoriale Ernesto Ferrero? E noi più prosaicamente ci diciamo, tutto bene quindi? Possiamo festeggiare? Pare proprio di no. A rovinare la festa è arrivata la consueta ricerca Nielsen commissionata dall’AIE – Associazione Italiana Editori relativa al mercato del libro nel 2013 e nel primo trimestre del 2014, secondo la quale non ci sarebbe stata nessuna inversione di tendenza, anzi. Dati presentati proprio al Salone venerdì 9 maggio nell’ambito del convegno Cosa tiene accese le stelle? Editori e lettori dopo tre anni di segni meno. Sicuramente li avete già visti, ma ripassiamoli velocemente. Ancora segno meno su tutti i fronti, rispetto all’andamento non certo roseo delle stagioni precedenti: la perdita complessiva del mercato del libro 2013 è di -6,2% a valore e -2,3% a copie nei canali trade (quelli rivolti al pubblico: librerie, librerie online e grande distribuzione) rispetto al 2012. Tradotto in numeri assoluti, questo significa che gli italiani hanno acquistato lo scorso anno 99,2 milioni di volumi (2,3 milioni in meno del 2012) e hanno speso circa 1,2 miliardi di euro (81milioni di euro in meno del 2012). Del mercato trade, solo il 3% è coperto dagli ebook, a conferma del fatto che il libro digitale nel nostro paese cresce seppur lentamente. Andamento negativo in tutti i settori, tranne quello dei libri per bambini e ragazzi, unico barlume di speranza in una fotografia altrimenti impietosa, come l’ha definita il presidente di AIE Marco Polillo.

Insomma, una notte buia quella dell’editoria italiana, come l’ha definita  in un articolo su Linkiesta Andrea Coccia, il quale, elencando i numeri della tragedia, ha sottolineato un’affermazione allarmante espressa dall’editore Antonio Monaco nel dibattito successivo all’esposizione dei dati Nielsen: se la situazione e la tendenza attuale del mercato non cambieranno presto, la maggior parte delle piccole e medie case editrici italiane ha davanti a sé un’autonomia finanziaria di circa 20 mesi. Il che significa, considera Coccia, che al Salone del 2016 potrebbe bastare un padiglione su tre di quelli che impegna attualmente.

Come conciliare dunque l’immagine della colomba bianca sull’arca del Lingotto con quella della notte buia senza stelle? Dove sta la verità? Da entrambe le parti. E il punto è proprio che la questione, che io stessa ho introdotto sopra, è mal posta. Il successo del Salone non è in alcun modo una cartina tornasole della situazione della lettura in Italia, così come il successo di tutti i festival letterari non è indicativo dell’andamento dell’editoria nel nostro paese. Lo avevamo sottolineato anche in un articolo di alcuni mesi fa nel quale, in occasione dell’avvicinarsi del festival della letteratura di Mantova, ne approfittavamo per riflettere su un paradosso del nostro paese, quello di essere fatto da tanti festival e da pochi lettori. La vivacità del settore culturale e nello specifico letterario nel nostro paese, a livello di eventi, stona infatti con il dato, ormai arcinoto, secondo il quale più della metà degli italiani non ha mai preso in mano un libro negli ultimi anni. E nonostante il boom di presenze registrato ogni anno, non è dimostrato che questi eventi educhino alla lettura e nemmeno che portino ad un ritorno economico sul medio-lungo periodo per le librerie delle città che li ospitano. È il paradosso delle piazze piene e delle librerie vuote, come riassunto in modo esemplare da Mario Sinibaldi in un intervento di un po’ di tempo fa sul Sole24 Ore. 
Eventi che rappresentano un momento imperdibile per i già-lettori, uno svago per i lettori sporadici attirati dal grande nome, ma che non spostano di un millimetro il non-lettore. E probabilmente non è nemmeno questo il loro ruolo. 
Giusto quindi gioire per i buoni risultati di uno dei più importanti appuntamenti del settore a livello internazionale, ma pare presto per gridare alla colomba.

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