Al contrario del calcio, dove l'eterno dibattito tra chi sia stato il più grande di tutti è sempre molto acceso e senza effettiva risposta, per la pallacanestro la cosa è molto più semplice: Michael Jordan. Poi vabbè, i nostalgici tirano fuori Magic, Bird, addirittura Oscar Robertson o Bill Russell ma c'è poco da dire: per quello che è stato e per quello che ha rappresentato per la pallacanestro e per lo sport in generale, MJ è indiscutibilmente l'MVP all-time. C'è però una sottile frangia di facinorosi che sostiene una tesi molto interessante: il più grande giocatore di pallacanestro di tutti i tempi è stato Tyrone Curtis "Muggsy" Bogues. Le motivazioni sono semplici: Bogues era alto un metro e cinquantotto e ha calcato i parquet NBA per quattordici anni, distribuendo addirittura 39 stoppate in carriera. Un ragazzetto sotto al metro e sessanta che va tutte le sere in campo contro marcantoni di due metri e dieci e si fa valere è sicuramente il più grande di tutti.
Ora, io non sono esattamente d'accordo, ma il ragionamento è interessante. MJ è banale nella sua immensità di atleta superiore, costruito per eccellere. Muggsy invece è originale nella sua impossibilità, nel suo andare contro il luogo comune fondativo della pallacanestro, e cioè che per giocarci devi essere alto. Quando ho preso per la prima volta in mano L'incredibile viaggio del fachiro che restò chiuso in un armadio Ikea, che esce oggi in libreria e che ha un titolo che rende quasi impossibile parlarne via twitter, mi è venuto in mente proprio questo ragionamento. Perché, diciamocelo, la prima cosa che pensi è: ecco qua, un libro con un titolo lunghissimo e didascalico che fonda il suo umorismo su uno scarto quasi scontato: quello tra l'eurocentrismo implicito tipico dei francesi e la visione distorta e ingenua di un povero indiano che ricategorizza con i suoi codici primitivi le meraviglie della modernità occidentale. Facile, così.
E invece.
E invece questo libro non è un Michael Jordan, non è una storia costruita a colpo sicuro in cui si sfrutta la banalità dello scompenso culturale per suscitare il riso (e, intendiamoci bene, sarebbe stato un modo semplice e sicuro per fare successo). Questo libro è un Muggsy Bogues, che fa ridere e fa pensare proprio perché va contro tutto questo. Il fachiro Ajatashatru non è un ingenuo indianucolo che sbarca a Parigi per comprare un letto di chiodi IKEA e cammina col naso all'insù per cercare di capire se gli dei si offenderanno per l'esagerata altezza dei grattacieli, ma è piuttosto un furbissimo truffatore che frega un tassista, si intorta una francese in due secondi, diventa amico di clandestini sudanesi e dell'attrice più bella del mondo, scrive un bestseller sulla sua camicia e fa la più grande supercazzola della storia a un comandante libanese. Ajatashatru arriva in Francia senza possedere gli strumenti (il "fisico") per poterci stare ma, nonostante questo o forse proprio per questo, domina. E non a suo malgrado.
In più ci sono un sacco di scene che fanno ridere e tantissime storie interessanti da riciclare agli aperitivi culturali. Io ve ne dico solo una, poi le altre le trovate da soli: sapevate che Maupassant odiava la torre Eiffel e andava a mangiare lì tutti i giorni perché era il solo punto di Parigi da cui non poteva vederla?
Ecco, e ci voleva un fachiro del deserto del Tharthar per scoprirlo.
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