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Paura e disgusto a Notting Hill

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Ho vissuto la maggior parte della mia vita ignorando quasi completamente la figura di Hunter S. Thompson e dopo averla incontrata per la prima volta, in tutta la sua esuberante genialità, mi sono chiesta come questo fosse potuto accadere. L’incontro è avvenuto un paio di mesi fa, quando in una sala d’essai della mia città hanno proiettato Gonzo: The Life and Work of Dr. Hunter S. Thompson, un documentario presentato nel 2008 al Sundance Film Festival, che racconta la vita dello scrittore all’origine del Gonzo journalism, morto suicida nel 2005 all’età di sessantasette anni. La sua figura mitica è ricostruita dal regista Alex Gibney attraverso spezzoni di sue interviste e da molte testimonianze di coloro che gli sono stati artisticamente e umanamente vicini, in primis Ralph Steadman – l’illustratore inglese che ha legato indissolubilmente la sua carriera a Thompson e illustrato con le sue celebri caricature alcuni dei suoi lavori di maggiore successo – e Jann Wenner, fondatore di Rolling Stone che gli commissionò molti reportage, sostenendolo anche quando era "indifendibile" per la sua abitudine di sforare le deadline e poi mandare raffiche di pagine via fax. Molti anche i contributi di quello che ne è stato ben due volte l’alter ego cinematografico, Johnny Depp, recentemente nel film Rum Diary, tratto dall’omonimo romanzo autobiografico, ma soprattutto in Paura e delirio a Las Vegas con la regia di Terry Gilliam.

Non ci sono dubbi che questo sia il lavoro che ha consacrato Thompson. La storia è nota a tutti: nel 1971 Raoul Duke, alter ego di Thompson, e il suo avvocato Oscar Zeta Acosta salgono sulla loro Chevrolet rossa diretti a Las Vegas, con l’obbiettivo di assistere alla gara motociclistica Mint 400 per realizzare un servizio per Sports Illustrated, reportage che si tramuterà in un viaggio allucinato e psichedelico alla ricerca dell’American Dream o di quel che ne resta.

Quello che è meno noto è come questa storia si incrociò con quella di Lou Stein, ai tempi direttore del teatro londinese Gate Theatre a Notting Hill. Correva l’anno 1982 e Stein, come racconta in questa bella intervista su Prospect Magazine, stava cercando un pezzo forte per inaugurare una seconda sede del teatro a Battersea. La scelta cadde sul dirompente reportage di Thompson, che aveva raccontato il fallimento del sogno americano. Un soggetto perfetto per attirare l’attenzione, l’unico problema da gestire a quel punto era lo stesso Thompson; Stein ebbe da Steadman il numero della sua casa di Aspen, la città del Colorado nella quale Thompson si era candidato a sceriffo nel 1969 con una campagna basata sulla legalizzazione della droga ad uso ricreativo, passata alla storia come la battaglia di Aspen. Steadman aveva avvertito Stein di aspettarsi qualunque cosa, e infatti la telefonata terminò con Thompson che lo ammoniva che se l’adattamento non gli fosse piaciuto, avrebbe messo il suo teatro a ferro e fuoco. 

Hunter assistette effettivamente alle prove, presentandosi con un enorme bicchiere di Chivas Regal e ghiaccio; nei giorni successivi prese parte attivamente alla messa in scena e la sera della prima fu addirittura affabile e cordiale. Stein ricorda che gli piacque vedere le sue gesta portate sul palcoscenico e che durante la pièce rise animatamente e spruzzò Chivas Regal dappertutto, "battezzando" le nuovissime sedie imbottite del teatro. Dopo lo spettacolo, in un pub vicino al teatro, a Thompson fu detto che quello era l’ultima ordinazione che potevano fare; in tutta risposta, chiese un giro di cinque pinte per tutti i membri della compagnia e quell’episodio fu all’origine di un pezzo sull’assurdità del coprifuoco e delle arcaiche leggi inglesi in materia di alcolici.

Oggi, nel preparare una nuova versione di quello spettacolo per il Vault Festival, Stein ricorda l’amicizia che nacque in quell’occasione. Trentadue anni dopo la prima messa in scena, anni nei quali si susseguirono vari adattamenti del testo cult di Thompson, Stein confessa di essersi chiesto se il libro può ancora dire qualcosa alla nostra generazione. La risposta è che Paura e disgusto a Las Vegas, lungi dall’essere solo un resoconto sull’abuso di droghe nell’America dei primi anni ’70, ha ancora un messaggio da dare: quello di lasciarsi un po’ andare e trovare il gonzo che è in ognuno di noi. Per dirla con le parole di Thompson:

La vita non dovrebbe essere un viaggio verso la tomba con l’intenzione di arrivare in modo sicuro in un bel corpo e ben conservato, ma piuttosto una sbandata in fiancata in una nuvola di fumo, completamente esaurito, completamente sfinito e proclamando a gran voce: Wow! Che corsa!

 

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