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Cent’anni di Julio Cortázar | Il Persecutore

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il Secolo Corta è una rubrica latticino, con data di scadenza: 26 agosto 2014. È anche la festa per il centenario più lungo del mondo, ma non possiamo esserne certi. Diciamo che abbiamo dieci nove otto sette mesi per festeggiare cento anni, che son quelli di Julio Cortázar, lo scrittore più alto del mondo. il Secolo Corta è un omaggio: ogni mese una puntata, ogni puntata un tema. Vuoi contribuire? C'è anche un blog, per dire: sarebbe bellissimo.

 

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Il primo ragionamento sopra Il persecutore, racconto contenuto in Le armi segrete, 1959, contestualizza ai giorni nostri l'omaggio di Julio Cortázar a Charlie Parker perché, diciamocelo, viviamo tempi di vacche grassissime per le biografie – da Andre Agassi a Steve Jobs, da Jordan Belfort a Eduard Limonov – e immaginare un persecutore imbottito-a-dovere-e-confezionato-a-dovere sugli scaffali delle librerie anzichennò dei supermercati, a carte scoperte, magari non ci sarebbe la fila (il jazz, meh) ma qualche regalo di Natale, la teoria dei grandi numeri, non ci sentiamo di escluderlo.

 

E invece non è nemmeno una biografia, lo chiamano “racconto a chiave”, dove la finzione non si preoccupa troppo di celare la realtà, ci sono gli ultimi giorni di Johnny Carter-Charlie Parker, c'è la marchesa, c'è Dizzy Gillespie, c'è Lester Young, c'è Miles Davis e ci sono un sacco di riferimenti a Dylan Thomas, il poeta preferito di Charlie Parker-Johnny Carter.

 

Ecco, prima di lasciarci deliziare dalle parole del festeggiato, la sensazione che ho provato la prima volta che ho letto Il persecutore e che provo di riflesso ogni volta che prendo in mano il libro: la solitudine dell'artista.

Come vogliamo chiamarla?

È quella roba che al rovescio abbiamo percepito tutti, che ci costringe ad allontanare costantemente l'interlocutore, nonostante braccia, mani e cuore quantomai tesi e quei pochi centimetri tra bocca e orecchie che consentono una comunicazione canonica, la distanza si conferma siderale e il momento dell'evidenza e dell'imbarazzo dura quanto basta perché, alla fine, siamo noi e solo noi a essere da QUESTA parte.

 

 

Nell'ormai arcinota intervista rilasciata a Joaquín Soler Serrano per la trasmissione televisiva “A Fondo”, nel 1977, Julio Cortázar dice che «solo in seguito, dopo avere scritto Rayuela scoprii che Il persecutore ne era un antenato, il primo germe, che Johnny Carter era già un poco Horacio Oliveira. La mia intenzione era utilizzare persone come me, di intelligenza media, uomini delle volte mediocri ma che, nonostante tutto, vivono esperienze metafisiche, necessità di apertura, necessità di scoprire cosa si nasconde nell'altro lato. Quando ho letto la biografia di Charlie Parker, che ammiravo immensamente come musicista, è stato naturale convertirlo in un mio personaggio, camuffandolo un poco».

 

Nella bibliografia di Julio Cortázar Il persecutore rappresenta in un certo senso un unicum e l'accostamento con Rayuela, quantomeno con una parte di Rayuela, è una rima ben congegnata, ché si tratta, probabilmente, del racconto più ambizioso del quasi centenario da Banfield.

Qualcuno lo ha definito un classicissimo della produzione Cortázar e se Tranquillo è morto, Qualcuno ha sempre ragione.

 

Appena un minuto e mezzo del tuo tempo, e del tempo di quella lì, – ha detto Johnny con rancore. – E anche del tempo della metro e del mio orologio, che siano maledetti. Allora come è potuto succedere che io abbia pensato un quarto d'ora, eh, Bruno? Come si può pensare un quarto d'ora in un minuto e mezzo?

 

 

 

 

 

 

 

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