
(photocredit: huffpost)
Per molte persone il libro o, per usare un'espressione che dà sempre a chi la adopera un tono da specialista, l'oggetto-libro ha un'indiscussa sacralità, legata sia alla sua forma fisica sia al suo contenuto. Il libro era considerato un oggetto prezioso durante i secoli del medioevo, perché veicolava la cultura e perché era concretamente prezioso, dal momento che si trattava di manufatti rari e pregiati. Insomma, per una serie di ragioni l'alone sovrannaturale che avvolge i volumi è giunto fino a noi, sopravvissuto a Gutemberg e ad Amazon, perciò ci fa sempre un po' impressione vedere i libri utilizzati (se non violati) per scopi estranei alla lettura. In quest'ottica, il lavoro di Sherri Green ha un non so che di sacrilego perché, udite udite, lei i libri vecchi li usa per farci nascere dentro le piante.
Se vi siete ripresi dallo shock e avete la forza di andare avanti, potete guardare qui alcuni esempi di questi atroci scempi. Ironia a parte, l'idea della Green, che è un'artista del Michigan e ha un cognome deliziosamente promozionale, merita di ricevere attenzione. In sostanza, dato che ci si trova spesso per le mani dei vecchi libri rovinati e non tutti vengono immediatamente colti dal loro fascino poetico (o perché sono illegibili, o perché non sono interessanti solamente perché datati o, e questo è il mio caso, perché sfogliarli procura prurito alle mani, agli occhi e starnuti), Sherri ha pensato di dare loro una nuova possibilità, una vera e propria seconda vita, come vasi. La vita rinasce tra le pagine credute morte, se proprio non possiamo fare a meno di liricizzare. Nel concreto, ciò è avvenuto perché l'artista, nonché pollice verde, voleva trovare il modo di seminare delle piante senza dover necessariamente disporre di un intero cortile, perciò ha pensato a come farlo utilizzando degli oggetti quotidiani.
Reinventare i libri come fioriere permette una «giustapposizione tra vivo e decrepito» e, soprattutto, consente di realizzare dei piccoli giardini interni. A qualcuno potrà sembrare solo una gran pecionata come la finta pila di libri, ma la Green intanto ha già degli ordini e, oltre ai libri-vaso, vende anche altri tipi di volumi «reinterpretati». Malgrado la simbolica violazione, a me questa storia della vita dentro le pagine e della seconda possibilità convince o, almeno, non spiace più di tante altre idee eco-fricchettone che vanno così di moda oggi. Si fa un gran chiacchiericcio sulla natura e sui libri, tante iniziative e tanti discorsi per porre rimedio a quella che è una delle più inquinanti industrie del mondo, perciò la trovata di per sé non è proprio da mani nei capelli. Questione di gusti, tutto qui. Soprattutto, non si tratta qui di calpestare i libri, di usarli per fermare un tavolo traballante o per fare la brace, ma di trovare il modo per ridar loro una nuova funzione, anziché lasciarli stipati in cantina, dove i loro unici lettori sono i tarli. Non sembra, nelle intenzioni di Sherri Green, una mancanza di rispetto o un abuso, anche perché riconosce che attraverso i vecchi volumi passa sempre una storia del passato e scovarla di nuovo, tra una sottolineatura, un appunto misterioso o una pagina a mala pena leggibile, fa sempre piacere. E se in tutto ciò cresce una pianta, male non può farci.
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