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Clima: storie e sfide fra evidenze e precauzioni

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C'è un approccio metodologico usato in politica e giurisprudenza chiamato "principio di precauzione", che si può spiegare nel modo seguente: se si sospetta che un'azione possa essere rischiosa o causare un danno alla popolazione o all'ambiente e non si possiedono prove scientifiche confermate di tale pericolosità, non bisogna comunque sottrarsi dall'assumere misure cautelative per ridurre il rischio associato a questa azione.

Posto questo piccolo "cappello" al mio articolo, vi presento due libri che hanno molto a che fare con questa idea di precauzione. Il primo è stato scritto dal famoso meteorologo di Che tempo che fa Luca Mercalli e dalla ricercatrice del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) Alessandra Goria e si intitola Clima bene comune; il secondo, il cui autore è l'ex vice-presidente degli Stati Uniti d'America e premio Nobel per la Pace nel 2007 Al Gore, ha come titolo Il mondo che viene. Sei sfide per il nostro futuro.

Chi ha letto qualche articolo di questa rubrica sa che ho sempre cercato di mantenermi lontano da questioni riguardanti la tutela dell'ambiente e i cambiamenti climatici, non perché da parte mia ci fosse più reticenza a parlarne ma piuttosto perché, a differenza di molti altri argomenti scientifici che abbiamo trattato, in questo ambito le prove scientifiche definitive ancora mancano e, soprattutto, manca la volontà condivisa di confermarle.

La vicenda scientifica e politica sui cambiamenti climatici e sul riscaldamento globale (che sono due cose nettamente differenti e non vanno usate l'una al posto dell'altra) è molto lunga e inizia da prima degli anni '90. Fu proprio durante la prima riunione organizzata dall'ONU nel 1992, l'Earth Summit di Rio de Janeiro, che si prese in considerazione un approccio cautelativo nei riguardi delle cause antropiche del global warming.

Dal 1992 a oggi di conferenze e riunioni ne sono state fatte tante, ma di decisioni che andassero oltre quel principio di precauzione non ce ne sono state. Pochi mesi fa, l'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), l'agenzia ONU che si occupa di studiare le ragioni, i meccanismi e le possibili conseguenze dei cambiamenti del clima, ha redatto il suo quinto rapporto dal titolo Climate Change 2013: The Physical Science Basis, dove sono stati esaminati e analizzati tutti gli studi di fisica, geologia e chimica dell'ambiente a supporto dell'evidenza scientifica di tali fenomeni.

Un po' per mancanza di autorità nel sostenere certe argomentazioni, un po' perché quando si parla di tali questioni c'è sempre quella frangia di persone che traducono ogni convinzione scientifica in "-ismi" di vario genere, non mi metterò a fornirvi le prove per cui secondo me e secondo buona parte della comunità accademica l'IPCC ha ragione e ha fornito ad oggi evidenze importanti riguardo non solo la responsabilità umana dei cambiamenti climatici ma anche le conseguenze politiche ed economiche che tali fenomeni avranno in futuro. Lascio che siate voi lettori a informarvi e a giudicare da soli quanto veramente i cambiamenti climatici e il riscaldamento globale siano concreti e quanto di "nostro" ci sia dietro di essi. Non solo, penso anche che le trasformazioni che il nostro pianeta sta subendo possano essere "mitigate" (nel caso ci sia ancora il tempo per farlo) proprio partendo da interventi individuali.

Come si legge nel libro di Mercalli e Goria, molto può esser fatto dalle grandi organizzazioni internazionali ma qualcosa può esser fatto anche dai singoli, ad esempio cercando di risparmiare sull'energia elettrica e termica che consumiamo tutti i giorni, semplicemente impostando delle fasce orarie a minor consumo, oppure riducendo l'uso dell'automobile, prendendo i mezzi pubblici o la bicicletta quando non dobbiamo fare grandi spostamenti, o ancora facendo la raccolta differenziata e riciclando l'acqua che usiamo per cucinare, usandola magari per innaffiare le piante.

Sono tutti piccolissimi accorgimenti che sembreranno inconcludenti rispetto ai tagli sulle emissioni di gas serra che gli Stati dovrebbero attuare, ma siamo oltre 7 miliardi di persone sul pianeta e se ci mettiamo in testa, anche solo in qualche miliardo, di cambiare le cose, potremo avere delle chance di successo.

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