
La prima volta che ho letto un libro di Jussi Adler-Olsen era anche la priva volta che mi capitava tra le mani un giallo scandinavo. Non avevo mai letto Stieg Larsson né Jo Nesbø e mi affacciavo con un po' di sospetto.
È durato poco.
Il giallo è un genere letterario costruito per smantellare le certezze del lettore. Ogni svolta della pagina è una svolta che ti può far mancare il terreno sotto i piedi. Ma non solo. Per esempio, ero convinto che nei paesi nordici – Svezia, Norvegia e Danimarca (l'autore è danese) – fossero tutti alti, biondi e con i denti bianchissimi perché usano Daygum Protex. Pensavo che la socialdemocrazia scandinava fosse un sistema politico pressoché perfetto, dove i cittadini sono responsabili e attenti, la classe politica è affidabile e parsimoniosa, tutti pagano le tasse e hanno un sacco di servizi pubblici impeccabili. Invece i romanzi di Adler-Olsen mettono a nudo una realtà diversa, con gente bassa, scura e bruttarella: i suoi personaggi sono tutti dei freak, sono “menomati” si dentro che fuori. E poi ci sono i cortei in piazza, la polizia che si lamenta per i tagli, gli immigrati che si lamentano per il disagio, le ex mogli che si lamentano con gli ex mariti.
Vabbè, quelle ci sono dappertutto.
Come i cattivi: son cattivi in tutte le parti del mondo. Anche se spesso sono insospettabili.
In questo terzo episodio il detective Carl Mørk e tutta la sezione Q – ossia la sezione cui sono destinati tutti i vecchi casi non risolti – si trova ad affrontare un cattivo di tutto rispetto ed un caso che riemerge, letteralmente, da un passato quasi dimenticato. Un messaggio in una bottiglia, torna a galla sulle coste scozzesi dopo chissà quanto tempo e all'interno contiene una richiesta d'aiuto, in danese, scritta con il sangue.
I libri di Adler-Olsen ti prendono dalla prima pagina e filano via con il ritmo dei serial crime. Se siete degli appassionati di CSI, giusto per citare il più famoso, riconoscerete la classica struttura narrativa con l'alternanza di due casi e la storia che procede in parallelo. Succede così in molte narrazioni di genere, fin dai poemi cavallereschi (lo chiamavano entrelacement). E il messaggio nella bottiglia stesso è un'icona per i generi letterari, usato sia nelle romanticherie che nelle storie ad alto tasso di tensione.
Si vede che l'autore ci sa fare con i generi formulaici e con la serialità che ti prende per la gola e ti lascia sempre assetato.
Ecco, io Il messaggio nella bottiglia me lo sono bevuto, ma adesso ho ancora sete. Perciò vado a leggere quello che mi manca (Battuta di caccia) – anche se sarà un po' come guardare la seconda stagione di Fringe dopo aver già visto la terza – in attesa del prossimo episodio delle avventure del detective Mørk, di Assad e di tutta l'allegra combriccola freak-poliziesca di Jussi Adler-Olsen.
Il messaggio nella bottiglia, Jussi Adler-Olsen, Marsilio 2013
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