
Qualche giorno fa, al Festivaletteratura di Mantova, ho incontrato Eraldo Affinati. Tra le altre belle cose che ha scritto, Mondadori ha appena pubblicato il suo Elogio del ripetente, un'accorata esperienza sul campo da insegnante di lettere e storia in un istituto professionale di Roma. Come si può facilmente intuire, abbiamo parlato di scuola, della scuola del 2013. E mi sono venute in mente un sacco di cose. Anzitutto l'impressione, molto forte, che ognuno catacresizzi la propria esperienza scolastica: io immagino la scuola di oggi esattamente com'era quando la frequentavo io, una scuola senza telefoni cellulari, senza stranieri o italiani di seconda generazione e con pochissimi ripetenti. So che non è così, so che usare categorie vecchie per capire le nuove è sbagliato e dannoso, ma non ci posso fare nulla. Ci ho passato troppo tempo per potermene sbarazzare così facilmente. E, per questo, una messa in discorso contemporanea come quella dell'Elogio del ripetente sembra davvero il primo passo imprescindibile per iniziare a parlare di scuola con un minimo di cognizione.
Ma c'è di più, molto di più. In un libro di qualche anno fa, L'accademia Pessoa, Errico Buonanno scriveva:
- Dunque, cos'hai intenzione di combinare, adesso?
- Leggere, è chiaro. Essere un epicureo della lettura!
- Leggere e poi?
- Nient'altro. Insomma, non elaborare, non prendere spunto, non affannarmi e non invidiare. Tornare a dare alla letteratura il proprio senso di inutilità.
L'inutilità della letteratura è un tema molto affascinante e qui su Finzioni ne abbiamo parlato ripetutamente. A che cosa serve leggere? E soprattutto a chi serve leggere? E, come spesso capita, è proprio con i paradossi che si scardinano le convinzioni. Immaginate la situazione. Due classi. Una di un importante liceo classico, tipo il Parini di Milano o il Virgilio di Roma. L'altra, di un istituto professionale, con ragazzi stranieri che parlano italiano poco e male, pluriripetenti, alcuni con disturbi di apprendimento certificati, altri con disturbi di apprendimento non certificati. I primi sognano di andare all'università, iscriversi a giurisprudenza, medicina, scienze politiche. I secondi pensano solo a finire la scuola e andare a fare uno stage in officina. A chi serve di più leggere?
La risposta di Affinati, del suo libro e, personalmente, anche mia è: i ragazzi dell'istituto professionale. Sono loro che hanno davvero bisogno di Tolstoj, di Verga, di Wallace, di Eggers, di Calvino. Hanno bisogno di immaginare, di sognare, percorrere altri mondi narrativi, aprirsi alle possibilità infinite di infiniti giardini di sentieri che si biforcano. L'inutilità della letteratura diventa utile proprio dove sembra non esserlo.
Ecco, questa è una cosa bellissima. Come è bello e importante ricordare che i manuali di letteratura sono NOIOSI, difficili, scritti da vecchi tromboni e commentati da tromboni preistorici. Il vero rigore, come spiegava benissimo Affinati al nostro incontro, sta nel leggere le fonti, nel prendere i libri, mangiarseli e parlarne. Costruire discorsi attorno ai libri, non imparare a memoria quelli, spesso troppo accademici per essere veri, degli altri. Così si fa cultura. E magari in officina a sporcarti le mani ci vai lo stesso ma per passare il tempo, come nell'indimenticabile Ovosodo di Virzì, racconti di Pip di Grandi Speranze e ti fai delle gran risate.
Che, fino a prova contraria, a scuola ci si va per diventare cittadini, non lavoratori.
Eraldo Affinati – Elogio del ripetente – Mondadori Libellule 2013 – 128 pagine – 10 euro
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