
Vi è mai capitato di sparire tra le pagine di un libro? È una sensazione indolente di lontananza, come l'eco di una voce in una grotta o in un pozzo. È anche una sensazione di sublimazione, come se il tuo corpo perdesse consistenza e si trasformasse in vapore che viene assorbito dalle pagine del libro stesso.
Ecco, io sono sparito dentro a Sparire di Fabio Viola, edito da Marsilio. Mi ha completamente assorbito, tanto che la mia vita durante la lettura si è trasformata in un riflesso di ciò che accadeva tra le righe.
Condivo l'insalata, la mescolavo, ma non ero io con le posate tra le mani. Era Ennio, seduto sul bordo di una delle innumerevoli sopraelevate che incorniciano il cielo e la terra di Osaka, mentre osservava lo scorrere della città sotto di lui come io osservavo i pomodori che si legavano con la lattuga e il mais. Sono momenti inspiegabilmente catartici: riesci a vedere qualcosa nelle linee di cemento che si intersecano o nelle fibre che si agitano. È il disegno della tua vita – non voglio spararla grossa – e vederlo nel suo insieme, dall'alto, ti procura una sorta di pace.
Quando Ennio è andato in Giappone per cercare Elisa, la sua ex, probabilmente era già tutto scritto. Fabio Viola non ha fatto altro che cancellare: sparisce tutto in questo romanzo, in un rush, così come crollano i palazzi nei disaster movie. Prima Elisa, poi gli insegnati della Hoshi, misteriosamente, e poi Ennio stesso – in un armadio, in una mail, in un diario che non avrebbe dovuto leggere. Alla fine sono sparito anche io, il lettore.
Non potevo fare una pausa per cercare conforto nei miei pensieri, nello sforzo di capire da dove tutto questo avesse avuto inizio. Però forse ho capito dove tutto ha avuto fine.
A mente fredda, terminato il libro, ho pensato a cose diversissime tra loro: a Platone, la mimesis, e poi ancora Babsi Jones e Lunar Park di Ellis, e ho pensato all'incontro/scontro tra realtà e racconto, tra vero e finzione, alla programmatica confusione tra biografia e invenzione narrativa e a come figure diverse e incompatibili – il narratore, lo scrittore e il lettore – possano presentare un certo grado di sovrapposizione.
Quando, verso il finale, il narratore si è rivolta direttamente a Michele sono quasi caduto dalla poltrona? Michele?! Ma c'è mai stato un Michele prima? E Elisa era veramente Elisa? O era Elena? O forse Chiara? Ho creduto che il narratore si rivolgesse direttamente a me, e, lo so che è stupido, ma per un secondo mi è balenata l'idea che se il lettore si fosse chiamato Paolo, si sarebbe rivolto a Paolo, avrebbe detto Marco in caso di Marco, e così via. Questa idea mi è passata subito, perché non sono pazzo.
Quando sono ritornato vigile e presente a me stesso ero felice di essere scappato da questo intreccio angosciante, ma anche felice di essermi ritrovato lì dentro. In fondo questo fanno i libri, no? Il libro parla ad ognuno di noi. Il libro ci rapisce. Il libro ci fa sparire.
Mi sono sentito anche stranamente leggero. Sarà che per una settimana non ho mangiato che insalata. In compenso mi era venuta una gran voglia di katsudon.
Fabio Viola, Sparire, Marsilio, 2013
Da oggi potete trovare un'intervista e un incipit dell'autore anche su 20lines. Se volete leggere l'intervista, cliccate qui. Se invece volete provare a proseguire il racconto di Fabio Viola, qui!
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