
(Photo credit: http://2a56b976980e0793ddee-5cc5435fcbc367bb03f9a415e7067a97.r91.cf2.rackcdn.com/wp-content/uploads/2010/12/metal-club-black-sabbath.jpg)
Un libro del 1973, realmente (nel senso di realismo) nichilista e, opera numero tre di una sconfinata bibliografia, ovvero Great Jones Street, il romanzo con cui Don DeLillo inizia ad essere Don DeLillo, ma anche uno dei meno convincenti e ideologicamente incompleti. Come mai? Perchè non va oltre la rappresentazione, ma probabilmente, è quello che l'autore voleva.
Il rocker Bucky Wunderlick, alienato come solo una star può essere, nel suo percorso di isolamento autoinflitto, è un personaggio chiave se non addirittura seminale: in lui c'è la sconfitta dell'occidente prima della sua venuta, c'è la decadenza, c'è tutto intorno la pletora di ambiguità, anche interessante (esilarante la carrellata di casi umani – detto in chiave positivissima – esplicata dal dottor Pepe: «Un'altra leggenda vivente dell'epoca era Vincent T. Skinner, habitué delle sale da biliardo, un trattato di antropologia fatto persona (…) morto congelato in piena estate perchè si era addormentato in una cella frigorifera fra un turno e l'altro» o «Tristan Bramble, studioso di folklore e musicologo, arrestato nove volte per possesso di stupefacenti, grande maestro dei primordi.») che caratterizza la contemporaneità, il distacco dalla matrice, il tutto in tinte di malinconico grigio.
È infatti la malinconia ad avvolgere tutta la vicenda, una malinconia in stile Kirk Van Houten (il padre di Milhouse per i marziani), emblema del fallimento, felice di "bere una birra in bagno" e licenziato, dopo il divorzio, dalla fabbrica di cracker perchè alimento per famiglie. La degenerazione urbana che nel caso di Bucky è moltiplicata per N volte, in quanto personaggio ricco, famoso, desiderato, ovvero l'opposto di Kirk, ma proprio nel convergere della loro condizione, io ritrovo la cristallizzazione della lucidità di visione di DeLillo: l'uomo come essere marginale perchè costantemente ai margini.
Visto che parliamo di rockstar degenerate (e meno male!), fatemi scegliere come sottofondo il top del top, il – senza timore di smentita – più grande gruppo della storia del rock, i redivivi Black Sabbath.
Freschi freschi dell'uscita di 13, nuovo album dopo un milione di anni (tra l'altro, per niente male come molti, erroneamente, potrebbero pensare di un disco hard rock suonato da quasi settantenni) e purtroppo anche dell'annunciata cancellazione del concerto milanese in programma a dicembre, gli eroi di Birmingham rappresentano tutto quello che il rock ha da offrire ai suoi adepti: superuomini marveliani con la chitarra come potere e un'aura da dei che li distacca (termine chiave di tutto questo pezzo) da noi comuni mortali. Amen.
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