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Alejandro Zambra – Modi di tornare a casa

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Modi di tornare a casa è un libro difficile. Per quello che racconta e per come lo fa. Non penso però che questo sia un particolare problema, anzi. Mi ricordo una volta, ero a Bergamo con Andrea Sesta e parlavamo di Finzioni in un bel teatro. A un certo punto io ho detto che i libri non vanno capiti, vanno raccontati, e un sacco di gente si è messa a dire buuu, ma che dici?, evviva la critica teatrale! e altre provocazioni di questo tipo. In realtà io ci credo, a questa cosa. Deleuze diceva che il libro non ha nulla a che vedere col significare, ma piuttosto con il percorrere territori, io penso che un libro diventi tale quando viene raccontato, e poi ognuno ci capisce quello che gli pare.

Mentre riflettevo allegramente su queste cose mi trovavo a Torino e stavo per incontrare Alejandro Zambra e farci due chiacchiere. (L'avevo già visto la sera prima alla festa della scuola Holden ma era tardino ed entrambi non eravamo perfettamente in grado di sostenere un discorso coerente). Lui mi ha detto molte cose, tra cui il fatto che questo libro l'ha scritto per la sua generazione di cileni. Parla della dittatura di Pinochet, di quello che è rimasto oggi di quella dittatura, poi del terremoto del 1985, dei ricordi e di ciò che vogliono farci ricordare, e poi di padri e figli, di ignavia e di amore. E rappresenta davvero una generazione, quelli nati con la dittatura, quelli che non sapevano com'era prima e vedevano i genitori – loro sì che lo sapevano – prendere o non prendere posizione. 

zambra1 Alejandro Zambra   Modi di tornare a casaQuesto probabilmente è il modo in cui in Cile si racconta questo libro, ed è un modo bellissimo e toccante e anche solo per questo varrebbe la pena leggerlo. Ma io, che cileno non sono, voglio raccontarlo a voi, che cileni non siete, almeno non la maggior parte, in un altro modo, riassumibile con un vecchio adagio che recita: "il modo migliore per spiegare una cosa è mostrarla". 

Il libro è diviso in capitoli/sezioni. Quella centrale è la storia di uno scrittore che sta scrivendo il libro che abbiamo letto fino a lì e che leggeremo da dopo. E' un inserto all'interno del flusso narrativo del libro con la messa in scena della sua pratica di scrittura. A un certo punto succede la figata: un'intero dialogo con la madre viene riproposto (più o meno) esattamente una cinquantina di pagine dopo, all'interno del libro che lo scrittore sta scrivendo. E' il suo modo per farci capire come funziona il mestiere, come gli episodi della vita vera vengano risucchiati, rimodulati e riproposti nelle opere scritte. Come prendere ispirazione dalla realtà senza scadere nell'autobiografismo. 

E non è finita. Perché il montaggio/mostraggio del libro continua con una altra roba incredibile: il frattale. Tra le pagine sono sparse qua e là delle frasi che da sole riassumono il libro stesso e tutti i meccanismi che ci stanno dietro. Per esempio 

Leggere è coprirsi la faccia, ho pensato. Leggere è coprirsi la faccia. E scrivere e mostrarla.

Certo. Perché lui non scrive, svela. Non monta, mostra. Oppure: 

Per quanto vogliamo raccontare storie altrui finiamo sempre per raccontare la nostra.

Certo. Perché il libro, ogni libro, è una modulazione di una vita, messa in pagina – e dunque in un sistema di riferimento altro, in un mondo possibile. Oppure:

E' meglio pensare a questo momento come al breve riassunto di un film su una guida tv: dopo vent'anni, due amici d'infanzia si ritrovano per caso e si innamorano.

Il libro in due righe, con la piena consapevolezza che non si esaurisce qui, ma che piuttosto parte da qui per raccontare tutt'altro. Racconta la storia di una generazione e la storia di una messa in scena. Racconta come si scrive e cosa si scrive. E, più di tutto, come in una lettera che Kawabata scrisse al suo amico Yukio Mishima nel 1962, volevo dire ad Alejandro Zambra che

qualunque cosa dica sua madre, lei ha una scrittura magnifica.

Alejandro Zambra – Modi di tornare a casa – Mondadori 2013 – 156 pagine – 16 euro e 50

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