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Ri-FILL

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Che si stia vivendo in un tempo scardinato, che si avvita costantemente su se stesso, un tempo che è nuovo illuminismo tecnologico, sperimentazione capitalista e laboratorio politico, è ormai pressoché evidente. Forse meno familiare è la profonda crisi di identità che prova oggi chi come me vive a Londra da prima di Brexit, ovvero da prima che il sogno di un’Europa terra franca in cui muoversi liberamente iniziasse a franarci sotto i piedi, prima che l’identità europea diventasse un tema fisso delle nostre conversazioni serali e che iniziassimo a chiederci compulsivamente chi siamo?

Siamo londinesi, ma non inglesi, italiani ma lontani da casa, espatriati o emigrati a seconda dello spessore del nostro conto corrente. Siamo soggetti politici dissociati, che votano per un governo che non li rappresenta, ma non per un referendum che decide dei loro destini; siamo cittadini che pagano le tasse senza potersi permettere di usufruire dei benefits. Siamo creature disorientate che vivono tra due lingue, mescolandole ogni giorno, creando neologismi automatici che ci rendono a volte spocchiosi, altre analfabeti; siamo orgogliosi delle nostre radici ma ogni volta che le risaliamo ci troviamo sradicati, sospesi in un non-luogo, allo sbando, sedotti dalle voci di un passato nostalgico che non è forse mai esistito, formato e distillato dal filtro del nostro desiderio, e un presente che non ci appartiene, che ci accoglie respingendoci, che ci nutre ricordandoci ogni giorno quanto caro e tossico sia il nutrimento che ci offre e quanto egoista sia lamentarsene.
Siamo italiani, veneti, toscani, liguri, pugliesi. Siamo inglesi, somali, francesi, siamo europei, ma anche africani, asiatici e americani. Conosciamo la composizione della nostre cellule, ma la nostra definizione cambia a seconda dei luoghi che attraversiamo, la nostra identità viene tradotta costantemente, approssimata sempre alla versione di comodo, una versione che non coincide mai con la percezione che abbiamo di noi stessi.
Ogni giorno portiamo con noi per le strade di Londra il nostro retaggio culturale, la nostra esperienza personale, ma anche – volenti o nolenti – l’esperienza di un’intera nazione, a volte indossandola come fieri paladini, altre con vergogna e rabbia, consapevoli di essere allo stesso tempo negativo e positivo della stessa immagine.
Viviamo costantemente divisi tra il desiderio di tornare “a casa”, portando con noi nuove prospettive e i residui preziosi di una vita che scorre a velocità accelerata, e la consapevolezza che la distanza è un filtro opaco che ci classifica naturalmente come testimoni inattendibili di cambiamenti che avvengono lontani dai nostri occhi, seppure vicini al nostro cuore.

FILL, il Festival della Letteratura Italiana di Londra che la prossima settimana inaugurerà la seconda edizione, è nato proprio per questo: rispondere al bisogno di interrogarsi su cosa sia l’identità oggi e su come la sua definizione finisca per imprimersi sulle scelte politiche ed economiche di ogni singolo paese e quello di capire se e come si possa oggi parlare di nazionalità e appartenenza. Bisogni le cui naturali conseguenze sono da un lato la creazione di  uno spazio dove avanzare idee per guardarle da prospettive multiple e dove sezionare i conflitti allo scopo di capirne l’origine, dall’altro la formazione di una rete di solidarietà intellettuale capace di estendersi oltre le barriere nazionali, di genere, razza e classe, impegnata ad arginare e riassorbire il dilagare di fascismi, intolleranze e discriminazioni che stanno marcando a fuoco i nostri tempi.

La prima edizione era guidata dalla frustrazione e il risentimento per l’esito di Brexit e dalla volontà di far sentire la presenza di una comunità che come tante altre a Londra non ha avuto voce pur contribuendo ogni giorno al progresso, all’arricchimento e all’evoluzione degli scambi culturali, sociali ed economici del paese.

L’edizione di quest’anno si delinea invece per un programma marcatamente più ampio ma in un certo senso più compatto, che risponde alla necessità di riflettere sulle deformazioni politiche e sociali causate dal paradosso di una Storia che nel suo procedere a velocità accelerata non fa altro che avvitarsi continuamente su se stessa (QUI il programma consultabile nel dettaglio).

Il fil rouge del progresso/regresso scorre attraverso i vari incontri di questa edizione.

Sul piano più dichiaratamente politico, da un lato Paolo Berizzi e Joe Mulhall rifletteranno sul ritorno dei fascismi, dall’altro Lorenzo Marsili, Donald Sassoon e Annalisa Piras si interrogheranno su come si possano arginare i nazionalismi a base populista che stanno dilagando oggi in Europa in risposta alla crisi umanitaria dei rifugiati. Come si possano invece indagare e si stiano analizzando alcuni incidenti avvenuti durante questa crisi con metodo scientifico e forensico sarà il tema di un incontro tra Lorenzo Pezzani del gruppo Forensic Oceanography e Matteo De Bellis di Amnesity International.

Sul piano letterario si assisterà a un dialogo a tre tra Ali Smith, Olivia Laing e Walter Siti sulla narrazione del presente e il tentativo (utopico?) di catturare attraverso forme alternative e alterate di realismo la Storia nel suo manifestarsi. Sempre il presente, ma guardato attraverso una prospettiva femminista e pluralista, sarà al centro di un incontro tra Veronica Raimo e Sophie Mackintosh sul ritorno delle distopie femministe ai tempi del #metoo. Michela Murgia parlerà con Ben Okri del rapporto tra realismo e mito e del ruolo pubblico e politico degli intellettuali ai tempi della post-truth.
Igiaba Scego e Sharmaine Lovegrove si confronteranno sulla rappresentazione delle minoranze di afrodiscendenza nei vari panorami culturali inglesi e italiani e su come la loro inclusione nel mercato editoriale sia fondamentale nella lotta per la pluralità e contro l’egemonia culturale su cui si basano sempre di più i movimenti di estrema destra. L’ipotesi di un “romanzo europeo” continuamente teso tra spinte inclusive ed esclusive, nazionaliste ed europeiste sarà invece il tema dell’incontro tra Mathias Ènard e Nicola Lagioia.
Sophie Collins e Vincenzo Latronico parleranno dell’importanza politica della traduzione nella negoziazione culturale, ponendo così le basi per una prospettiva critica sull’importanza della traduzione letteraria e intermediale, che sarà invece al centro di un evento con Eva Ferri e Lisa Appignanesi per celebrare l’atteso arrivo della serie televisiva basata sui romanzi di Elena Ferrante prodotta da HBO-RAI drama.
Xiaolu Guo, Saleh Siddonia e Vanni Bianconi racconteranno che cosa significa per loro diventare “londinesi” e come abbiano tradotto questa esperienza nella scrittura. Nello stesso contesto sarà presentata una performance poetica esclusiva che ri-concettualizza in versi l’esperienza comune di “stranieri e londinesi” dei poeti Caroline Bergvall, Giovanna Coppola, Livia Franchini, Ariadne Radni Cor e George Szirtes.

Zerocalcare e Marco Magini a Fill 2017. ©Alessandro Mariscalco

Anche quest’anno il festival è molto ambizioso. Da un lato vuole creare uno spazio dove far incontrare artisti e intellettuali italiani e internazionali affinché possano confrontare le loro idee ed esperienze al di là di barriere nazionali e al di fuori dei circuiti mediatici mainstream, dall’altro vuole rispondere a un bisogno comune di noi “londinesi” di avere un luogo dove poter ritrovare quel senso di comunità, quella shared foreigness, quell’alterità condivisa che è, e deve essere, principio di solidarietà in questi tempi di barriere, rivendicazioni e crisi umanitarie.
Il successo non dipenderà solo dai numeri, ma da come il pubblico accoglierà e parteciperà al dibattito delle idee, da come queste scenderanno dal palco e circoleranno tra le persone. Perché le idee, per germogliare, hanno bisogno di essere disperse come spore ai venti.

C’è aria di tempesta, ma se continueremo ad impegnarci potrebbe anche rasserenare.

 

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