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Cosa fa uno scrittore quando non scrive

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Quando si inizia a riconoscere parole e non più segni, quando per la prima volta ci si innamora delle storie scritte, alcune domande sorgono più o meno spontanee. Sono, sostanzialmente, dubbi amletici che cominciano a ronzare nella testa del piccolo lettore con protagonisti quei famigerati scrittori che il più delle volte sembrano alieni perché la curiosità, spesso, va ben oltre le vicende narrate. Insomma, Peter Pan aveva la possibilità di rifugiarsi sull’Isola che non c’è, ma che problemi doveva avere J. M. Barrie per desiderare così ardentemente di scappare lontano? E ancora, Matilda era forse il personaggio più dolce e umano che si possa incontrare nei primi anni da lettore: come aveva fatto Roald Dahl a scriverne così meravigliosamente? Cosa faceva la notte, quando tutti dormivano e sognavano, per poter scrivere di una bambina così speciale e coraggiosa? Non parliamo, poi, de’ Il Piccolo Principe (lungi da me criticarne la bellezza e/o il successo che tutti commentano sempre creando squadroni e partiti pro o contro Antoine de Saint-Exupéry), la questione rimane sempre la stessa: se lo scrittore non fosse stato un aviatore, sarebbe mai nata una delle storie più lette dai bambini di ogni nazione? La vita, quella vera, come si insinua fra le pagine di ciò che un narratore scrive?

La domanda è proprio questa: cosa fa uno scrittore quando non scrive? Un autore, d’altronde, non è forse una persona comune come tutti noi? Eppure viene facile chiedersi quale sia la quotidianità di chi riesce a pubblicare il romanzo che andrà a riscuotere un successo improvviso fra i lettori e, soprattutto, quale sia, invece, la vita di quelli che ci provano ma non ci riescono, tutti quelli che si arrendono ma continuano a guardare quel cassetto che custodisce il loro libro scritto solo a metà. Nella raccolta di racconti I difetti Fondamentali di Luca Ricci (Rizzoli) c’è un po’ di tutto questo e qualcosa in più.

Gli sprazzi di realtà descritti dall’autore pisano sono un mondo che qualcuno se lo può anche immaginare ma sul quale non si sofferma mai davvero a pensarci. Ne’ I difetti fondamentali, infatti, si parla di scrittori anonimi che amano, che si nascondono dal mondo, che muoiono aspettando che il proprio lavoro venga riconosciuto, che rinunciano alla carriera che avevano sognato per scegliere di diventare semplici affittacamere. Con frasi lunghe, seguite poi da molte pause per prendere fiato, la scrittura di Luca Ricci ci immerge nel racconto con lo scopo di farci avvolgere da un vortice che uno non se lo spiega davvero come sia possibile che la vita di uno scrittore possa essere così. A tratti feroce, e sicuramente fin troppo sincero, I difetti fondamentali sono una chiave per leggere la vita di tutti i giorni di chi scrive, per ricordarci che sono persone umane, sì, con gli stessi vizi e passioni di tutti noi.

Cominciamo dal fatto, per esempio, che scrivere è come il sesso, più o meno.

Scrivere è come fare petting, né più né meno. Scrivendo uno non arriva mai al punto, e può cominciare a macerarsi per ore, giorni, settimane, mesi, anni e così via. Insomma, scrivere non è piacevole, ma è eccitante.

 Lo scrittore, più di altri, ha molte passioni e la carne, comprensibile ma non troppo, è una delle più comuni. Quando lessi per la prima volta L’amante di Lady Chatterley cercai subito di capire se David Herbert Lawrence fosse un maniaco (non parliamo poi di cosa mi ritrovai a pensare di Vladimir Vladimirovič Nabokov dopo aver letto Lolita). Anche Luca Ricci, in uno dei suoi racconti racchiusi ne’ I difetti fondamentali, si sofferma su questo particolare della carne, su quel vizio viscerale che lega la scrittura al sesso, trasformandola poi in un’ossessione, quello stato psicologico che aleggia su ogni relazione basata sulla follia. Non è un caso, infatti, se Luca Ricci si ritrova anche a narrare la poco equilibrata relazione che si può instaurare fra una scrittrice e un critico ovvero fra chi spera che le proprie parole riscuotano un qualsiasi tipo di successo e chi decide la fama e la gloria altrui. Un gioco che è un azzardo, una storia d’amore (ma non troppo) che spesso si ripete anche nella vita dei più grandi scrittori i quali, volenti o nolenti, si ritrovano spesso a sposare il proprio editor e/o critico. Il talento di Virginia Woolf (indiscusso ed eccezionale) come sarebbe arrivato alle stampe se non ci fosse stato tutto il sostegno del marito Leonard? Sono supposizioni, non si vogliono lasciare dubbi, eppure le relazioni di uno scrittore non sono mai così scontate, così come i suoi vizi.

E parliamo di brutte abitudini, chi non ne ha, eppure la cosa più assurda e forse meno semplice da pensare è che uno scrittore quando non scrive fa esattamente quello che facciamo tutti noi: si annoia, spera che smetta di piovere, si prepara il pranzo, a volte talmente bene da diventare anche un esperto di gastronomia vedi alla voce: Alexandre Dumas chef. Il vero e immenso vizio degli scrittori, infatti, è che persino i loro hobby debbono diventare elogi scritti e saggistica improvvisata. Haruki Murakami ama correre, come forse il settanta per cento della popolazione mondiale, tuttavia solo lui poteva trasformare quella sua passione in un libercolo, L’arte di correre, che è una semplice celebrazione alla sua attività sportiva che, come qualsiasi valvola di sfogo al mondo, l’ha aiutato nell’attività lavorativa e, più semplicemente, ad affrontare la propria vita personale. Dai racconti di Luca Ricci emergono tutte queste semplici deduzioni sugli scrittori, sulla loro voglia di uscire con gli amici, di innamorarsi, di vivere le novità del loro tempo attraverso personaggi che, ricordiamolo, sono scrittori, sì, ma anonimi nel senso più puro del termine: delle identità sconosciute.

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Ne’ I difetti fondamentali, inoltre, sono importantissimi lo spazio e il tempo. Questo perché, come in ogni grande romanzo o racconto dove troviamo sempre un pezzo di realtà che narra la vita quotidiana e il contesto storico per immergerci ancora più nel profondo dei protagonisti, anche nella raccolta di Luca Ricci c’è la costruzione di uno spazio – tempo ben preciso, una collocazione netta che rendono i racconti racchiusi in quest’edizione così contemporanei e così Duemila.

Durante il mio apprendistato letterario pensavo che chattare fosse un ottimo esercizio per la stesura dei dialoghi. O almeno quella era la scusa ufficiale. (…) Chattare era semplice negli anni in cui navigare a volto coperto non solo era normale – i social network non erano ancora comparsi – ma quasi auspicabile.

Vien da sé che tutto questo indagare sulla vita privata dell’autore porta poi, in realtà, anche a una leggera ma curiosa attenzione su come il mondo della scrittura sia cambiato nel corso del tempo. Mentre ci immaginiamo i migliori romanzieri dell’Ottocento rinchiusi nelle loro soffitte a scrivere pagine e pagine a mano, sotto l’irrequieta fiamma della loro candela, oggi il contesto è decisamente cambiato.

Secondo lui uno scrittore era soprattutto un tizio attratto fatalmente da una tastiera. (…) Quella pressione accelerata sulle lettere impresse sui tasti era il vero mistero della scrittura, ben più dei cosiddetti processi creativi, e rappresentava da un punto di vista materiale, e persino fisiologico, l’inspiegabile motivo per cui scriveva.

Chissà se Charles Dickens avrebbe lavorato a David Copperfield utilizzando Pages oppure Word. Forse, a ragionarci sopra quell’attimo in più, lo scrittore britannico avrebbe preferito la semplicità delle Note tanto da utilizzarne una diversa per ogni parte del romanzo pubblicata mensilmente su rivista.

Lo so, stiamo deragliando se non delirando. A inizio lettura eravate quasi certi di poter scoprire qualche assurdità che vi avrebbe portato a conoscere tutti i segreti dello scrittore quando non scrive e invece avete scoperto che è semplicemente ossessionato dal sesso, come il novantacinque per cento della popolazione mondiale, e che per la pausa pranzo potrebbe prepararsi dei panini proprio come voi quando nella dispensa non è rimasto nient’altro. Eppure sorge il dubbio che forse era fin troppo banale chiederselo, la realtà è che uno scrittore è come un meccanico appassionato d’auto che, chiusa la saracinesca della propria officina, torna a casa a guardarsi il Gran Premio di Formula Uno o, eccezion vuole, la Moto GP. Probabilmente uno scrittore, quando non scrive, pensa a cosa potrebbe scrivere. Pensa agli infiniti fatti che accadono intorno a sé ragionando su come trasformarli in storie. Nonostante ciò I difetti fondamentali di Luca Ricci vogliono ricordarci che anche gli autori sono umani, che spesso sono solo concentrati su se stessi, sul proprio lavoro che richiede più testa di altri. Perché gli scrittori, forse, hanno l’unica colpa di essere solo più egocentrici e, soprattutto, più impauriti dal fallimento poiché avrebbe come unica conseguenza la terribile e irrecuperabile perdita di fiducia in se stessi.

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