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La comunità letteraria mondiale si mobilita a favore di Ashraf Fayadh

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Nell'orientarmi tra le centinaia di libri e scrittori che affollano ogni giorno gli scaffali delle librerie, faccio spesso mio un frammento di Mao II, romanzo di Delillo del 1991, che recita quanto segue (non riesco a ritrovare la traduzione Einaudi, quindi traduco io):

Tu hai un'idea malata del ruolo dello scrittore nella società. Sei convinto che gli scrittori appartengano ai margini, che facciano cose pericolose. In America Centrale gli scrittori vanno in giro armati. Sono costretti a farlo. E questa è sempre stata la tua idea su come le cose dovrebbero andare. Lo stato dovrebbe voler eliminare tutti gli scrittori. Ogni governo, ogni gruppo che detiene il potere o che aspira ad esso dovrebbe sentirsi minacciato dagli scrittori al punto da volerli cacciare, ovunque.

Sono questi gli scrittori che io vorrei leggere, penso, e se da lettori il nostro tempo e le nostre energie sono limitate, allora dovrebbe essere questo uno dei criteri atti a muovere le nostre scelte.

Scopro soltanto ora che Delillo scrisse al tempo queste righe pensando al collega Salman Rushdie e alla fatwa (ovvero = condanna a morte) che quest'ultimo aveva ricevuto dall'Ayatollah Khomeini nel 1989, dopo la pubblicazioni dei suoi Versi satanici. La coincidenza è importante, poiché sempre di questo si parla, ovvero di scrittori e poeti, di condanne e di libri che fanno evidentemente il proprio dovere, ovvero "calmare gli inquieti, e inquietare chi si sente a proprio agio".

La giornata di oggi sarà infatti dedicata al poeta palestinese Ashraf Fayadh e alla lettura delle sue opere da parte di centinaia di scrittori in tutto il mondo. Tale iniziativa è stata proposta dal Festival Internazionale della Letteratura di Berlino, a seguito della condanna a morte di Fayadh per "apostasia" da parte di un tribunale saudita: accusato di pubblicato poesie "blasfeme" ed aver salvato sul proprio cellulare alcune foto di "donne vestite" con le quali lo scrittore pare aver intrattenuto rapporti impropri, il destinto di Fayadh dipende ora dal grado di fanatismo e follia di un manipolo di giudici.

Ashraf Fayadh, poeta e artista di 32 anni nato in Arabia ma originario della striscia di Gaza, era stato inizialmente condannato a quattro anni di detenzione e 800 frustate per aver fatto quel che è d'uopo faccia uno scrittore, ovvero scrivere cose sensate e oneste. A seguito però del rinnovato interesse della comunità internazionale nei confronti del suo caso, e dell'intervento dell'organizzazione Human Rights Watch a favore della sua scarcerazione, il dossier di Fayadh è di recente passato in mano a un nuovo e più severo giudice, il cui secondo verdetto potrebbe rivelarsi del tutto infausto, e riportare la condanna a morte sul capo di Fayadh.

Il supporto da parte della comunità letteraria mondiale è stato immediato e concorde, e vedrà impegnati oggi personaggi più o meno noti della letteratura italiana e mondiale da Bari e Milano fino a Londra e Chicago. I grandi nomi non mancano, e se sul caso erano già intervenuti in passato i premi Nobel Mario Vargas Llosa e Orhan Pamuk, così come i capi di stato Barack Obama e David Cameron, a chiosare una volta per tutte la questione dai caffè di Chicago è Irvine Welsh, l'autore di Trainspotting:

Nutro disgusto nei confronti di tutti i regimi religiosi. Sono convinto che ognuno debba essere libero di praticare o rinunciare a qualsiasi religione gli sembri il caso di prendere in considerazione. Se siete sostenitori dei diritti umani e contro il terrorismo fondamentalista, allora dovete mettere al muro il regime saudita. In caso contrario, sareste anche voi altrettanto colpevoli.

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