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Un’altra scomparsa nell’editoria cinese ostile al governo

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(photocredit: Guardian)

Si chiama Lee Bo, di mestiere caporedattore presso la Causeway Bay Books di Hong Kong e, secondo quanto riferito dalla moglie Sophie Choi qualche giorno fa, non si hanno sue notizie da mercoledì 30 gennaio, dopo una telefonata sospetta in tarda serata da un numero sconosciuto per rassicurare sul fatto che andasse tutto bene.

Apparentemente un episodio lugubre come tanti altri, ma se la notizia è giunta a destare l’interesse delle principali testate internazionali e ad alimentare un malcontento già piuttosto diffuso a Hong Kong, città che dal 1997 presenta rapporti controversi con il governo cinese a causa del suo status di semi-autonomia e delle conseguenti maggiori libertà di stampa ed espressione, c’è un motivo ben preciso: il fatto, ad esempio, che la Causeway Bay Books spicchi soprattutto per un catalogo fortemente orientato in senso politico e critico nei confronti del partito comunista cinese – aperta nel 1994, gode di una certa popolarità presso i turisti provenienti dalla Cina continentale, che avevano la possibilità di procurarsi opere e documenti politici altrimenti inaccessibili.

Ma non è finita qui. L’allarme generale già ampiamente diffuso dai media locali ha uno stretto e imprescindibile legame con la constatazione che Lee Bo non sarebbe che il quinto di una serie di collaboratori del gruppo Mighty Current publishing, cui la Causeway Bay Books era affiliata, a essere misteriosamente scomparso: Gui Minhai, proprietario del gruppo, non ha mai fatto ritorno dal suo viaggio in Tailandia, mentre il general manager Lui Bo, il direttore della libreria Lam Wing- kei e l’impiegato Cheung Jiping sono stati dichiarati ufficialmente scomparsi lo scorso 5 novembre.

L’inchiesta è stata aperta, ma la possibilità che possa trattarsi di semplici coincidenze non convince l’opinione pubblica che, giustamente, vede la politica editoriale tanto della casa editrice quanto della libreria al centro dell'accaduto. «Non sono eventi con cui le persone normali sono abituate a fare i conti», ha dichiarato Sophie Choi.

Sfociando dalla cronaca alla questione ben più sensibile della limitazione della libertà personale, la vicenda ha destato le preoccupazioni di molti gruppi di difesa dei diritti dell’uomo: in primis la Human Rights Watch, persuasa che ci sia una forte volontà da parte del governo cinese di impedire la circolazione di libri considerati dissidenti da Hong Kong al resto del territorio dello stato.

Le autorità cinesi non si sono ancora espresse, ma l’ipotesi di un loro coinvolgimento non lascia certo stupefatti: basti ricordare il caso di Yao Wentian, editore di un volume dissidente sul presidente cinese Xi Jinping, detenuto per circa tre mesi all’inizio del 2014 e poi condannato nel maggio dello stesso anno a dieci anni di carcere per contrabbando. 

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