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Libri sempre più lunghi: la rivincita dei mattoni

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Nell’era che sembra segnare la rinascita del genere letterario della short story, di cui non si smette mai di sottolineare la coerenza con tempi accelerati e compressi della nostra società, alcuni dati recentemente pubblicati sembrano smentire le nostre certezze.
Secondo uno studio condotto su un campione di circa 2500 libri selezionati tra i bestseller del New York Times e i più discussi su Google books la media delle dimensioni dei volumi in commercio avrebbe subito negli ultimi 15 anni un aumento del 25%, passando dalle 320 pagine del 1999 alle 400 del 2014. Un incremento progressivo di anno in anno pari a circa 80 pagine, sottolinea l’ideatore dell’indagine apparsa su Flipsnack, James Finlayson.

La causa? Finlayson non ha dubbi: il fenomeno può essere spiegato con l'avvento del digitale. È innegabile infatti che le dimensioni materiali di un grosso tomo possano rappresentare un deterrente all’acquisto in libreria per quei lettori non troppo coraggiosi o, semplicemente, demotivati dall'idea di trascinarsi in valigia durante le vacanze un mattone dal peso non indifferente. «Su Amazon, invece, la lunghezza di un romanzo non è altro che una precisazione a piè di pagina alla quale non si presta davvero attenzione».

A questa risposta di natura fondamentalmente “materiale” fanno da contraltare le considerazioni di Clare Alexander, agente letterario, che parla piuttosto di un vero e proprio cambiamento culturale: poco reggono i discorsi sulla morte del libro a causa della concorrenza di altre forme di comunicazione, poiché «chi ama leggere preferisce una narrazione lunga e coinvolgente», l’esatto opposto dei frammenti di informazione che ci vengono quotidianamente propinati da Google.

Il merito di aver inaugurato questa rinascita del mattone spetta probabilmente agli americani – si pensi a Donna Tartt con il suo Cardellino o a Jonathan Franzen – ma il fenomeno ha ben presto preso piede, supportato anche dall’establishment letterario.
Prendiamo in considerazione uno dei premi letterari più importanti del Regno Unito dal 1970, il Man Booker prize: scorrendo rapidamente la lista dei vincitori si nota senza troppa difficoltà che mentre nei primi cinque anni la media dei romanzi sul podio si aggirava intorno alle 300 pagine, negli ultimi cinque è drasticamente salita a 520 – è sufficiente citare l’ultimo premiato Marlon James con le 700 pagine di A Brief History of Seven Killings.

Max Porter di Granta, l’editore che ha pubblicato il romanzo di 800 pagine vincitore nel 2013, The Luminaries di Eleanor Catton, definisce «confortante» il sopravvento del romanzo lungo, per quanto non sia convinto che si tratti davvero di una tendenza generale del mercato. E non è neanche persuaso del fatto che la responsabilità sia da attribuire agli ebook: molti studi dimostrano infatti che il 60% dei titoli scaricati elettronicamente non vengono mai letti, e solo il 20% viene completato; un grosso libro invece «è una forma di realizzazione fisica dell’intenzione di trascorrere il tempo necessario a leggerlo». Così, aumentando di peso, è come se il romanzo rivendicasse la propria identità – e i propri spazi – in un mondo pieno di divertissement che lottano per negargliela.

Alex Bowler, editor della Jonathan Cape, cerca invece di ridimensionare il fenomeno dichiarando che, se è da una parte vero che a opere di un certo profilo sembra corrispondere ultimamente un consistente numero di pagine, d’altra parte i manoscritti che vengono sottoposti alla sua attenzione non superano mai le 350 pagine – cosa che forse si potrebbe dire, aggiunge, della maggior parte degli apparenti tomi che troneggiano sugli scaffali delle librerie: forti del successo di saghe come quella di Harry Potter o, più banalmente, delle Cinquanta sfumature, non è da escludere che gli editori utilizzino dei trucchetti per distanziare parole e righe e aumentare lo spazio occupato sulla pagina con lo scopo di rassicurare i lettori suggerendo l'idea che stanno investendo denaro in qualcosa di un certo spessore. Letteralmente, si intende.

Di fronte a questa visione più cinica e spassionata, un certo interesse merita invece l'ipotesi avanzata da Clare Alexander, ovvero che l’attenzione al romanzo di una certa lunghezza possa interpretarsi come una sorta di compensazione al risveglio di interesse per la forma breve, perfetta e autoconclusiva del racconto.

Due estremi, dunque, ugualmente in ascesa e del cui successo i dati ci obbligano a prendere atto. E in tutto ciò, contro ogni opinione comune per cui in medio stat virtus, a farne le spese sembra proprio essere il compromesso: «prezzo medio, a metà carriera, dimensioni medie – di fatto, tutto ciò che sta nel mezzo rappresenta, per me come agente, il formato più difficile al momento», conclude infatti Alexander.

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