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Il Diario di Anna Frank non diventerà di pubblico dominio nel 2016

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Come ben sappiamo, la legge sul diritto d’autore prevede che un’opera passi fuori diritti, ovvero che venga sciolta da qualsiasi vincolo privato di sfruttamento economico, settant'anni dopo la morte di chi l’ha realizzata.

Pare che ciò non accadrà per uno dei testi più significativi del Novecento, nonché preziosa testimonianza dei crimini dell'Olocausto, il Diario di Anna Frank. Scritto tra il 1942 e il 1944, quando l’autrice quindicenne si trovava rifugiata ad Amsterdam, il testo sarebbe dovuto diventare di pubblico dominio il primo gennaio del 2016, se il Fondo Anna Frank, depositario dei diritti di un’opera che si stima aver venduto più di 30 milioni di copie dalla sua pubblicazione nel 1947, non avesse avuto la meglio su una controversia accesa ormai da qualche anno, proprio in vista dell’approssimarsi della temuta scadenza.

La principale motivazione addotta dal Fondo per giustificare la sua presa di posizione risiede nel fatto che la versione a noi oggi nota del Diario sarebbe in realtà frutto del lavoro di Otto Frank, il padre di Anna, che ne avrebbe rimaneggiato i contenuti in maniera significativa, operando soprattutto dei tagli sulle pagine più private: Otto rappresenterebbe dunque un vero e proprio co-autore dell’opera, motivo per cui, essendo lui morto nel 1980, il testo non potrebbe diventare di pubblico dominio prima del 2050.
Ma non solo: per zittire i più accaniti oppositori di questa ipotesi, il Fondo ricorda anche che la versione integrale del Diario ha visto la luce soltanto negli anni Ottanta; sarebbe dunque tutelata dalla legge per le opere postume e inedite, che permette di far decorrere la scadenza del monopolio di sfruttamento economico cinquant’anni dopo la pubblicazione, quindi in questo caso nel 2030.

Ma quanto c’è di giuridicamente fondato in queste obiezioni?

Non molto, secondo gli oppositori, molti dei quali esperti in legislazione sul diritto d’autore. In primis, il Fondo dovrebbe dimostrare che gli interventi di Otto Frank costituiscano realmente un apporto creativo al testo, al punto da essere degni di tutela giuridica; impresa difficile, se si considera che questi parrebbero essersi limitati a tagli e censure; e trattare il censore di un’opera alla stregua di un suo co-autore sarebbe indubbiamente una mossa azzardata.
Allo stesso modo, valutare la versione integrale degli anni Ottanta come un testo inedito è un’opzione senza senso, visibilmente forzata: se si ragionasse così per tutti i testi che sono stati ripristinati nella loro originalità la legge sul diritto d’autore permarrebbe praticamente inutile e inapplicabile.

Se da una parte, dato il suo valore di documento storico, è legittimo qualche dubbio legato alla necessità di preservarne la natura e l’autenticità da usi impropri, bisogna anche ridimensionare i facili allarmismi: come ha giustamente sottolineato il giurista Guillaume Sauvage, un’opera può essere analizzata, criticata e commentata indipendentemente dal suo essere fuori diritti; e di fronte alla minaccia che possa cadere in mani negazioniste o antisemite, vige sempre il diritto morale che impone rispetto e fedeltà al testo e impedisce la circolazione di versioni deformate.
Senza contare, poi, che con i loro argomenti gli aventi diritto rischiano di tirarsi la proverbiale zappa sui piedi: se davvero al Diario avessero lavorato così tanti autori, non sarebbe difficile metterne in dubbio legalmente l’autenticità.

La questione rimane controversa, ma il Fondo ha segnato il primo punto: non perderà i suoi diritti nel 2016.  Per quanto riguarda la data in cui chiunque potrà avere libero accesso alle memorie di Anna, è ancora tutto da vedere. 

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