Hyeonseo Lee è incredibilmente minuta. Quando la incontro in una fredda serata milanese di inizio autunno mi sembra una ragazzina: invece ha 35 anni e ha già vissuto così tanto che potrebbe averne 80. Il motivo del nostro incontro è l'uscita del suo primo libro per Mondadori, dal titolo La ragazza dai sette nomi. La mia fuga dalla Corea del Nord scritto insieme allo scrittore americano David John. Hyeonseo in questo libro racconta la sua vita come cittadina della Corea del Nord, una cittadina come tante ma con la fortuna, del tutto casuale, di abitare sul fiume Yalu, al confine con la Cina. Quando a 17 anni Hyeonseo decide di attraversare quel fiume non sa che sarà un viaggio di sola andata. Nel '95 il paese è nel pieno di una terribile carestia e le luci dall'altra parte del fiume diventano un richiamo irresistibile. La sua storia si snoda dalla Corea oppressa alla Cina dove si rifugia da lontani parenti, clandestina per più di dieci anni, e arriva fino in Corea del Sud – da cittadina finalmente libera.
Sette nomi perché sette sono le identità che ha dovuto cambiare in questi anni di esilio volontario, e il nome che porta tuttora e che vediamo in copertina del libro non è il suo vero nome: come dice in apertura, «è il nome che mi sono data io stessa una volta raggiunta la libertà. Hyeon significa 'luce del sole'. Seo significa 'buona sorte'».
Non considero la Cina il mio paese, ma considero tale la Corea del Sud anche se noi rifugiati rimaniamo sempre dei dei rifugiati, ed è una cosa difficile da sopportare. Ultimamente ci sono stati dei miglioramenti, le cose stanno cambiando perché le persone si stanno rendendo conto che il numero dei rifugiati aumenta e la gente soffre davvero. Oggi, grazie al fatto che viaggio tanto, mi rendo conto di essere davvero una cittadina del mondo. Mi piacerebbe molto poter tornare nella Corea del Nord prima o poi: spero che prima o poi sia possibile una riunificazione tra le due coree. [...] Nonostante ora io mi renda conto che vivevo oppressa e che era una vita orribile, per me era assolutamente normale, anche se non c'era libertà di parola, di religione, di nulla… ma era la nostra vita ed era l'unica vita che conoscevamo. Ero felice. Ora chiaramente mi rendo conto che è una follia ma allo stesso tempo sono nostalgica del mio paese perché ho dei bei ricordi, probabilmente anche solo perchè non posso tornare e so che sarà difficile farlo per il resto della mia vita. Spero, ma non lo so.
Se volete avere un'idea della sua storia, e sentire la sua voce dolce e pacata, potete ascoltare qui la conferenza TED che ha tenuto l'anno scorso e che ad oggi ha più di 4 milioni di visualizzazioni. Eroina suo malgrado, non c'è mai traccia di vittimismo né di autocompatimento nel suo romanzo e neppure mentre prova a raccontarci cos'è la Corea del Nord: piuttosto, tanta malinconia per un paese che il mondo giustamente associa solo a una dittatura terribile ma che per Hyeonseo è, prima di tutto, casa.
Com'è la vita in Corea del Nord? Un cittadino medio ha modo di intuire che la situazione nel suo paese è tutt'altro che normale?
È assolutamente impossibile, perchè sono settant'anni che la situazione è così e la gente semplicemente non sa e non si chiede cosa c'è fuori dalla Corea del Nord: c'è stato un vero e proprio sistematico lavaggio del cervello per decenni e decenni. Quando vivevo lì pensavo che non esistesse altra vita che non la nostra: quello era il nostro mondo ed era il migliore dei mondi. C'era solo quella vita e nessuna possibilità di confronto: non avevamo la più pallida idea di libertà o di democrazia, né di cosa fosse il capitalismo.
La nostra era la migliore vita al mondo, il nostro paese era il Paradiso e il nostro leader era quello che ci aveva creato, quindi era Dio. Ci si credeva, io ci credevo e ci credevano bene o male quasi tutti. In Europa la situazione è stata diversa. Ci sono state tante dittature in passato ma la gente ha sempre saputo in un modo o nell'altro tramite i media, e anche la tv, che nel mondo c'erano situazioni di gran lunga migliori. Noi non abbiamo accesso a nessun tipo di informazioni: tuttora in Corea del Nord abbiamo un solo canale televisivo gestito al 100% dal regime e che è 100% propaganda. Io ho avuto una situazione un po' particolare perché vivevo al confine con la Cina, vicino al fiume Yalu, quindi a differenza di tantissimi altri nordcoreani lontani dalla Cina ho avuto la possibilità di ricevere (illegalmente e di nascosto) un canale televisivo cinese. Ero estremamente curiosa di sapere cosa succedeva altrove, ma sono stata la prima generazione ad avere un minimo accesso da informazioni che arrivavano dall'esterno. Allora sì che mi sono accorta che forse la Corea del Nord non era il Paradiso o il posto più bello al mondo: ed è quello che poi mi ha fatto decidere di andare "dall'altra parte".
Da quando sei fuggita, ritieni che la situazione sia cambiata?
No, la situazione purtroppo non è cambiata. Bisogna cercare di svegliare i nordcoreani ma lo stimolo deve arrivare dall'esterno perché dall'interno non è possibile fare molto: devono arrivare delle informazioni da fuori. È dal 2000 che le cose sono leggermente cambiate perchè ci sono organizzazioni internazionali, religiose e istituzioni di vario genere che cercano in un modo o nell'altro attraverso la Cina di far penetrare informazioni in Corea del Nord. Questo ovviamente non significa che il 100% della popolazione è consapevole di quello che sta succedendo nel paese e al di fuori. Significa però che un 50% dei nord coreani è quantomeno consapevole di non vivere nel posto migliore del mondo, ed è già un cambiamento molto positivo. Purtroppo rimane il fatto che non possono parlare e non possono esprimere in alcun modo le loro idee. È importante che arrivino sempre più informazioni perchè soltanto in questo modo sarà possibile che qualcosa cambi.
Autobiografia, ma anche romanzo. Dramma ma anche thriller, e con un lieto fine che non sembra scontato fino all'ultima pagina. Hyeonseo non è una scrittrice ma quando le chiediamo perché ha deciso di mettere per iscritto la sua storia invece che semplicemente andare in giro per il mondo a raccontarla a voce ci risponde così:
Inizialmente pensavo che i libri non fossero una cosa per me, che li scrivessero solo le persone famose. Però poi ho pensato: ho voglia di raccontare questa storia, quando sarò vecchia voglio avere un diario di quello che è successo, voglio ricordarmi queste cose e voglio che altri se le ricordino. Nel 2013 HarperCollins mi ha pubblicata nel Regno Unito, e quando ho realizzato come il libro poteva essere distribuito, mi sono resa conto che sarebbe stato molto più “forte” che semplicemente andare in giro a parlare in pubblico – perché in questo modo può raggiungere un maggior numero di persone.
Tante persone ancora si chiedono come è possibile che in Corea del Nord succedano queste cose e perché la gente non reagisce, senza rendersi conto del lavaggio del cervello che abbiamo subito. Con questo libro tutto sommato hanno capito il perché, hanno capito che la popolazione non può fare nulla e non può ribellarsi. L’obiettivo del mio libro è quello di contribuire perché qualcosa nel mio paese cambi: il governo non si muove di un millimetro e noi dobbiamo fare qualcosa in qualche modo con una maggiore distribuzione dell’informazione (social media, eccetera.). Da una parte sono rimasta stupita perché ci sono state persone informate della situazione che c’è in Corea del Nord ma dall’altra parte ci sono anche persone che neppure sanno che esistono due coree. Quindi dall’esterno bisogna fare pressione principalmente sulla Cina, perché non sostenga più la Corea del Nord e smetta di rimandare indietro i rifugiati: e per questo si può fare qualcosa, con il mio libro ma anche con grazie a voi, parlandone e spargendo la voce. Una distribuzione forte delle informazioni potrebbe davvero indebolire il regime.
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