
Leggere Amélie può essere paragonato al bere un bicchiere di champagne, di quello pregiato che ti servono nelle flûte alte e strette come papaveri: fresca, profumata, la bevanda scorre giù che è un piacere; le papille gemono, le bollicine frizzano e, rincorrendosi l'un l'altra, risalgono in men che non si dica la nostra cavità orale raggiungendo immediatamente il cervello. All'ultimo sorso, ci sentiamo felici e un po' storditi come quando riceviamo una bella notizia; e ne vorremmo di più, ché quel calice mica ci basta e ci lascia un po' insoddisfatti, ma in realtà sappiamo che la perfezione di quel piacere è data anche da ciò, dal ridotto quantitativo di quelle gocce d'oro racchiuse in una casa di cristallo, dalla brevità del momento. Se ne avessimo di più, ne godremmo di meno.
Barbablù è l'ultimo brindisi di Amélie, racchiuso, al solito, in una manciata di pagine che faticano a raggiungere la tripla cifra. Il libro si fa calice, le pagine bolle, piccole e veloci, e, sorseggiando con gusto, assaporiamo una delizia di nobile fattura che abbiamo già esperito plurime volte ma che comunque, in un modo o nell'altro, ci lascia ebbri e spiazzati, con la punta della lingua ancora screziata di oro. E proprio "oro" è la parola con cui Amélie si appresta a chiudere la piccola fiaba di cui ci apprestiamo a parlare.
Saturnine, 25enne belga residente a Parigi, è alla ricerca di una stanza in affitto. Per una cifra ridicola trova alloggio presso la sontuosissima dimora di un personaggio assai eccentrico, il Grande di Spagna don Elemirio Nibal y Milcar. Ma i più sanno il perché dell'affitto così basso: otto donne avevano già soggiornato in quella casa, e di ognuna di esse si è persa ogni traccia.
Un moderno killer seriale misogino? Un bruto dalla mente diabolica? Strano, perché il nostro Grande di Spagna risulta, sulla carta, una compagnia gradevolissima e discreta. Davanti al tavolo della cucina, tra pietanze succulente e champagne delle più grandi e costose marche, i due si conoscono, si confrontano, sempre più avvolti tra le spire di dialoghi prettamente à la Amélie ai quali i suoi assidui lettori sanno bene che è impossibile sottrarsi.
Nella sontuosa dimora del presunto aguzzino, Saturnine può fare ciò che vuole, con un solo divieto: non può entrare nella camera oscura di don Elemirio ove egli custodisce le sue preziose fotografie. Dapprima per nulla incuriosita, la ragazza comincerà ad indagare con l'unico mezzo a sua disposizione per non cadere in fallo: le parole e i pensieri. Conversando, bevendo e rimuginando, Saturnine arriverà infine a darsi le risposte che cercava e anche quelle che, invece, non pensava di cercare affatto. Ma la curiosità ha sempre un prezzo da pagare, e a insegnarcelo fu proprio l'antica fiaba dall'omonimo titolo.
Barbablù è un libro a tinte gialle e oro; non solo perché vi sono misteri e segreti da scoprire, ma perché il giallo è tema importante dell'intero racconto. Il giallo delle uova, specialità culinaria di don Elemirio, il giallo-oro dello champagne. Da sempre portavoce della grande capacità comunicativa del cibo, Amélie ci trasporta in un vero e proprio simposio durante il quale, tra succulenti pietanze e nettari pregiati, si discorre di amore, di morte, di filosofia. La scrittrice sa e ricorda bene, in perfetta tradizione greco-romana, quanto tale attività nobilitasse l'uomo e lo portasse, come tuttora fa, alla vera conoscenza.
Merci beaucoup, Amélie. À votre santé.
Barbablù, Amélie Nothomb, Voland 2013. Traduzione di Monica Capuani.
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