Non so voi, ma spesso io ho bisogno di un disco. Chiudo libri, archivio serie TV e volto le spalle al cinema. Capita che metta su il ruvido debutto dei Guns oppure un lavoro dei Thin Lizzy. A volte mi servono note più pesanti, altre liriche soffici e cullanti: dagli Slayer a Mark Knopfler il salto non è breve, ma si può fare. Janis Joplin e Ian Curtis la sera tardi, in pieno giorno meglio Bruce Dickinson o Robert Plant. Il metal lo sento invernale, i Beatles e i Clash estivi.
Da qualche giorno ho scoperto gli Ships. Sono molto famosi, ma credo che pochi di voi li conoscano. Provengono da Luton (Bedfordshire, Inghilterra), una cittadina industriale piena di irlandesi distante cinquanta chilometri da Piccadilly Circus. A metà degli anni ’80, quando il punk stava morendo e il grunge non era che un feto in via di sviluppo, gli Ships hanno pubblicato Five Flights Up. Un disco che fece il botto, come si suol dire. Purtroppo la luce che li ha illuminati è stata intensa ma breve.
Da poco sono arrivate sugli scaffali delle librerie le memorie del chitarrista degli Ships: Robert “Robbie” Goulding. In Italia le ha pubblicate Guanda (titolo: Il gruppo) e, per qualche motivo che non so spiegarmi, non le troverete nella sezione musicale, ma fra i romanzi. È un libro da comprare, c’è pure il bollino di garanzia: Joseph O’Connor. Non è chiaro il ruolo dello scrittore irlandese nella faccenda, ma è probabile che abbia aiutato Goulding a buttare giù la storia del gruppo. Provatelo, mal che vada conoscerete una band di cui, forse, non avevate mai sentito parlare prima.
Ma lasciate che ve li presenti.
Alle pelli c’è Seán Sherlock. Lontano dai riflettori, ma solido come una roccia, è lui la spina dorsale degli Ships. E pensare che all’inizio l’avevano preso come batterista temporaneo! Dà il ritmo: una rullata qui e un bacchettata sul charleston al momento giusto. Le canzoni degli Ships hanno un gran bel tiro, ma il libro non è da meno. Luton, Londra, New York! Gioventù, droga, sesso, amore! Amicizie, litigi, coltellate e romanticherie! Tum, tum, tum. Ti risuonano dentro, come colpi di grancassa.
Al basso (ma suona anche il violoncello, perché è l’unica che ha studiato musica seriamente) c’è la sorella di Seán: Sarah-Thérèse Sherlock, che tutti chiamano Trez. Dovreste ascoltare le sue linee di basso! E i tocchi folk quando impugna l’archetto? Fenomenale. Trez è la dolcezza degli Ships, lo Yin del gruppo, le curve morbide e affettate di ogni brano. Trez è indimenticabile, su disco come sulle pagine di Goulding. Ti spezza il cuore al punto che vorresti conoscerla. Una ragazza che nel walkman ha Jimi Hendrix e la Prima di Beethoven. Impareggiabile.
Al microfono c’è la rockstar. Il maudit di origine vietnamita che ha fatto il bello e il cattivo tempo degli Ships dagli esordi al tracollo. Francis Xavier Mulvey è un po’ Baudelaire, un po’ David Bowie e un po’ Johnny Rotten. Mulvey è il peperoncino piccante di tutta la faccenda. Chiamatelo pazzo, chiamatelo puttana, chiamatelo santone, chiamatelo bardo; a lui non interesserà, perché sarà impegnato in una lotta, eterna, contro se stesso, contro il caos che gli si agita dentro. Mulvey è il conflitto che agita queste memorie e le coscienze di coloro che le hanno vissute.
Infine, a brandire la sei corde c’è Robert “Robbie” Goulding. Che cosa si può dire di lui? Be’, Goulding sono io ed è tutti voi. Non posso dirvi di più, ci sono quattrocento pagine che vi aspettano.
Anni fa, in un libro di Stefano Benni ho letto questa frase: la musica è l’unica cosa di cui i miei libri sono gelosi. Ma che cosa succede quando un libro è la musica? Come cantava Patti Smith, è free money. Ricchezza gratuita.
P.S.
Avete aperto YouTube o Wikipedia?
Avete digitato Ships, ma non trovate nulla?
State tranquilli, gli Ships sono un parto della mente di Joseph O'Connor.
Ma non abbandonate la vostra voglia di buona musica britannica.
Qui, qui e qui. E ancora qui. Buon ascolto!
Joseph O’Connor, Il Gruppo, Guanda, 2015.
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