Un paio di mesi fa, prima di finire ad una festa in cui avrei visto Emanuel Carrère ballare come uno scatenato in pista da solo, con movimenti che non vedevo più dai tempi di Mauro Repetto, mi sono trovata a Torino in un posto di cui ho totalmente dimenticato il nome, e che era a metà tra un oratorio, un ritrovo hipster pieno di legno e la sagra della salsiccia di Treviso.
Qualche tavolo più in là del nostro c’era una ragazza siciliana, coi capelli ricci e i lineamenti spigolosi, che leggeva le unghie. Leggere le unghie deve essere l’ultima moda tra i fricchettoni, mi sono detta. Invece non era una moda, era il sesto senso di questa ragazza che fin da bambina, circondata da cugini e fratelli maschi, non aveva voglia di passare il tempo con loro e preferiva gli adulti, curiosandone le unghie. Da quel momento, un po’ per gioco, ha iniziato a guardare le unghie di chiunque e ad avere delle sensazioni sull’essenza della persona che tendeva le dita verso di lei.
Di me, tra le varie cose, ha detto che ero in continua evoluzione e che non ero ancora diventata chi ero davvero. C’era cioè secondo lei una versione attuale non completamente formata, finita, che si sarebbe ancora e ancora trasformata in qualcos’altro, fino a diventare la cosa giusta, forse la migliore, che era già in qualche modo in me, ma non ancora venuta alla luce nel modo corretto.
Mi sono presto dimenticata della ragazza che leggeva le unghie, fino a quando non ho iniziato a leggere la raccolta di racconti di Francesca Marciano uscita da poco per Bompiani.
Francesca Marciano è una scrittrice italiana che da sempre scrive in inglese i suoi romanzi e le sue raccolte di racconti. Ha trovato nell’inglese, che non è la sua lingua madre, l’idioma più adatto alla sua espressione. Sarà un caso, ma il titolo originale di Isola grande Isola piccola (tradotto per Bompiani dalla bravissima Tiziana Lo Porto) è The other language.
Perché Isola grande Isola piccola mi ha fatto tornare in mente la lettrice di unghie? Perché, proprio come ha percepito quella ragazza guardando le mie dita, i personaggi di questi racconti sono tutti in un punto di transizione indefinibile; hanno chiuso una porta alle loro spalle ma non hanno ancora trovato il nuovo portone da aprire. A volte si credono felici e non lo sono, altre fanno semplicemente del loro meglio per trovare una strada, a tutti sembra mancare l’idioma giusto per farsi capire dagli altri, quell'other language che non conoscono e che serve loro per riuscire a trovare un appoggio nell'altro.
C’è insomma sempre un filo rosso che collega tutti i racconti, ed è il Cambiamento, uno spazio di panico e libertà in cui si può riscrivere tutto daccapo ma si ha paura di farlo o non si è certi di averne il coraggio. Loro ci sono dentro con entrambi i piedi, come i bambini nelle pozzanghere e a volte lo sanno ma non sempre. Che ansia, direte voi. E invece no. La potenza della scrittura di Francesca Marciano è incredibile, ed è in grado di avvolgere ogni racconto dalla calma più totale, pur mettendo in quel lasso di tempo e in quel pezzo di vita raccontato incapacità di comunicazione, silenzi lunghi anni, paure, gelosie, invidie.
A voler scavare un pochino ci si trova in cima a un burrone con l’elastico attaccato ai piedi, a chiedersi “ma come è possibile che una scrittura tanto pacata mi faccia ritrovare a tu per tu con l’adrenalina di un salto nel vuoto?”
Non è poco. Anzi. Si ha la sensazione di doversi necessariamente mettere di fronte allo specchio che rifuggiamo sempre, quello che ci mette di fronte le risposte che non vogliamo vedere, ma in modo sottile, laterale, come quando per far capire bene a qualcuno quello che ci sta accadendo lo raccontiamo in terza persona. E sono racconti non etichettabili, non riesco a rintracciare un filone di appartenenza. Non riesco a dire “sono short stories americane” o “sono proprio i racconti di qualcuno che deve aver necessariamente letto Tizio”. Sono una cosa a parte, un other language.
Trovate il vostro racconto preferito e portatelo sempre con voi.
Il mio si intitola La teoria dei quanti. Mi ha segato le gambe e mi sono ritrovata col culo per terra.
Francesca Marciano, Isola grande Isola piccola, Bompiani, 2015
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