
Quando ho letto (che bello leggere!) che la triste malattia agli occhi di Berlusconi gli ha impedito di andare in tribunale, tra me e me ho pensato "speriamo non faccia la fine del povero personaggio del racconto Sette Piani di Dino Buzzati".
Così, con funzione apotropaica, provo a parodiarne alcune parti, affiché il racconto (finzione) sollevi dalla malattia (realtà) il povero cieco brianzolo, in modo che possa tornare presto nel suo habitat naturale, il foro di Milano.
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Dopo un giorno di viaggio in auto blu, Silvio B. arrivò, una mattina di marzo*, alla città dove c'era il famoso San Raffaele del Monte Tabor. Benché avesse soltanto una leggerissima forma di uvetite, Silvio B. era stato consigliato di rivolgersi al celebre sanatorio privato lombardo, dove non si curava che quell'unica malattia.
Quando lo scorse da lontano – e lo riconobbe grazie alla cupola ingombrante e pacchiana, Silvio B. ebbe un'ottima impressione. Il bianco edificio a sette piani era solcato da regolari rientranze che gli davano una fisionomia vaga da pio albergo. Dopo una sommaria visita medica, in attesa di un esame più accurato, Silvio B. fu messo in una gaia suite ed ultimo piano. Tutto era tranquillo, ospitale e rassicurante.
Silvio B. si mise subito a letto e, accesa la lampadina sopra il capezzale, cominciò a leggere una copia del modulo per il rimborso dell’IMU… Poco dopo entrò un'igienista dentale per chiedergli se desiderasse qualcosa…
Silvio B. desiderava una escort ma si mise volentieri a discorrere con l'igienista, chiedendo informazioni sulla casa di cura. Seppe così la strana caratteristica del San Raffaele. I malati erano distribuiti piano per piano a seconda della gravità. Il settimo, cioè l'ultimo, era per le forme leggerissime. Il sesto era destinato ai malati non gravi ma neppure da trascurare. Al quinto si curavano già affezioni serie e così di seguito, di piano in piano. Al secondo erano i malati gravissimi. Al primo, quelli per cui era inutile sperare.
Prima una sostituzione, poi un disguido, poi ancora una necessità e Silvio B. si ritrova al quarto piano.
-Lei sa poi chi è l'anima di questo ospedale? – domando un medico.
-Cribbio, è il professor Alberto Zangrillo – rispose B. come se stesse parlando ad una turista della democrazia.
-Già il professor Zangrillo. È lui I'inventore della cura che qui si pratica, lui il progettista dell'intero impianto. Ebbene, lui, il maestro, sta, per così dire, fra il primo e il secondo piano. Di là irraggia la sua forza direttiva. Ma, glielo garantisco io, il suo influsso non arriva oltre al terzo piano…
Così, accosentendo di esser portato al terzo piano, per un errore di qualche infermiere comunista, finì al primo piano.
Giunse così, per quell'esecrabile errore, all'ultima stazione. Nel reparto dei moribondi lui, che in fondo, per la gravità del male, a giudizio anche dei medici più severi, aveva il diritto di essere assegnato al sesto, se non al settimo piano! La situazione era talmente grottesca che in certi istanti Silvio B. sentiva quasi la voglia di sghignazzare senza ritegno. Ma come mai la stanza si faceva improvvisamente cosi buia? Erano, le tre e mezzo. Voltò il capo dall'altra parte, e vide che le persiane scorrevoli, obbedienti a un misterioso comando, scendevano lentamente, chiudendo il passo alla luce. Sembrava quasi si essere in cella.
* quando scoprirete che nel racconto di Buzzati il fatto avviene in marzo, apprezzerete la coincidenza come un bambino che trova indizi dell’esistenza di Babbo Natale.
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Se volete confrontare la versione originale, vi basterà cercarla in Sessanta racconti o in La boutique del mistero. Buona settimana e arrivederci!
L'articolo Sette piani – una storia già vista sembra essere il primo su Finzioni.