Lui è Tommaso Amadio, co-direttore artistico del Teatro dei Filodrammatici di Milano
Oh, bentornati alla nostra panoramica su Milano e sulla cultura fatta a Milano e sulle persone che, un plauso, la fanno per bene. Grazie al progetto #MilanInSight, stavamo parlando con tre professionisti del settore: Giuseppe Ettorre, primo contrabbasso della Scala e insegnante presso l’Accademia della Scala e la Scuola Musicale, poi Erica Del Bianco, attrice di teatro e cinema e Tommaso Amadio, co-direttore artistico del teatro dei filodrammatici di Milano e insegnante all’Accademia. Ci eravamo lasciati dicendo che le città sono l’insieme delle proiezioni e le introiezioni dei nostri sentimenti verso la collettività di persone con cui stiamo andando a fare sistema. Ed Erica Del Bianco me lo dice benissimo:
Milano è una città che continua a darmi tantissimo. È una città in continuo movimento, che si muove insieme al progresso e cerca di investire anche sui giovani talenti. Milano è emozioni e razionalità insieme, pancia e testa. È una città che amo anche se non è ‘bellezza pura’ come potrebbe essere Roma, ma allo stesso tempo proprio perché non è bellezza pura, Milano non è così corruttibile, non svende la sua bellezza. Vende altre cose e te lo dice, in maniera diretta e schietta. A Milano non ho paura di quello che scoprirò, è una città di cui mi fido, che mi accompagna e mi sostiene. Questo lo vedi anche nel suo modo sfaccettato di vivere il mondo del teatro e dello spettacolo, con realtà molto diverse tra loro, alcune più istituzionali e altre indipendenti e molto attive nel cercare di portare avanti un’idea di teatro popolare e non riservato al mondo intellettuale a cui spesso è associato.
Io continuo ad apprezzare la stagione de il Franco Parenti perché mettono in scena sempre cose che ti portano a ragionare, molto mirate ed attuali ma anche l’Atir, il teatro ringhiera: stimo moltissimo Serena Senigaglia, e il suo team è, per quanto mi riguarda, il miglior gruppo di attori di teatro qui a Milano. La città vive anche attraverso questo, lo stesso Franco Parenti ha voluto portare in scena l’Amleto in dialetto milanese, l’Ambleto, un’opera dall’aspetto tragicomico che fondeva due diversi tipi di classicità: una grande opera teatrale e la tradizione del dialetto milanese.
Ecco un’altra cosa interessante da dire. Se la città è il luogo dove si fa cultura, di certo non è un luogo passivo ma, piuttosto, fagocitante. Non si accontenta di accogliere ma tende a rimasticare, rielaborare quello che ci facciamo dentro secondo le sue categorie che, di fatto, sono la somma potenziale e attualizzata di tutte le nostre. Fare cultura a Milano è diverso che farla a Roma, o Torino, o Napoli. E, come abbiamo visto bene, musica e teatro la fanno da padrone. Anche se, alla fine della fiera, si torna sempre a parlare di lettura. Di lettura e di codici.
Per suonare alla Scala, per esempio, devi prima leggere gli spartiti. Sembra banale ma non lo è affatto, e anche questo è stato un bello spunto di riflessione. Giuseppe Ettorre la pensa così:
La lettura della musica, il primo approccio con lo spartito è particolare. Quello che c’è scritto non è immediatamente comprensibile. Con le parole, i libri, è vero che spesso, soprattutto per quanto riguarda alcuni scrittori, ci sono diversi livelli di lettura ma da noi la lettura è veramente lettura. Tu devi decifrare quello che vedi scritto, quasi fosse una traduzione da una lingua diversa. Una volta che hai decifrato le note e come trasferirle sullo strumento, puoi passare al livello successivo.
L’approccio e la lettura di un “testo musicale” è descrivibile come il dover imparare non solo a capire ma anche a pronunciare le note. Nella seconda fase cerco di analizzare la musica, comprenderla e di farla comprendere agli altri.
La prova all’Italiana per esempio, è quella in cui iniziamo a capire cosa succede a livello musicale. Con le Opere nuove soprattutto, lì sì che devi e puoi interpretare la musica, anche insieme al direttore d’orchestra e si può provare a sperimentare. Per esempio su un’Opera di Mozart possono esserci differenze abissali fra come la fa un direttore, una orchestra, o un altro. E questo dà un peso e un significato completamente diverso, e la curiosità dell’orchestra è fondamentale per tradurre quello che di nuovo o diverso si vuole proporre. Qui alla Scala c’è questa curiosità e voglia di provare. Spesso sulle partiture verdiane, che sono meno precise e lì devi conoscere la musica, non c’è scritto tutto, devi sentire la musica e riconoscerla mentre la leggi.
Noi lo sappiamo già che la lettura non è certo un’esperienza passiva, anzi, è una pratica attiva di significazione. Non subisco un libro ma, in un certo senso, lo riscrivo nella mia testa e nei miei discorsi attorno a esso. E con la musica si capisce di più perché la sua lettura è indissolubilmente legata al lavoro dell’interprete. Leggere è come tradurre, dice Giuseppe Ettorre. Gli spartiti sono sempre quelli, magari vecchi di centinaia d’anni, come un classico di Dickens o di Melville. Poi i musicisti e i direttori d’orchestra, con la loro sensibilità, li modulano in maniere sempre diverse e originali, prendendosi un grande potere e, come si è detto a lungo prima, facendo cultura attivamente. Cambiandola secondo le proprie categorie della propria contemporaneità. Bella roba, eh?
Bella roba sì, perché mai come per queste pratiche le parole sono importanti e il ragionamento e il lavoro sul linguaggio diventa centrale, come la sua relazione con il pubblico e il suo linguaggio. Tommaso Amadio l’ha capito e ha provato a farlo capire anche a me.
Noi siamo l’unico teatro completamente Shakespeare free, nel senso che cerchiamo di rappresentare e parlare la lingua di oggi in tutta la sua contemporaneità. Questo è il nostro tradimento, dove la scrittura non tratta la parola come l’unico strumento di veicolo di osservazione per il pubblico ma appunto formando dinamiche relazionali.
L’esempio più completo, la sintesi massima di questo nostro approccio è “Contesto”, il teatro in tempo reale, uno spettacolo che portiamo in scena da 4 stagioni che sarà presentato anche quest’anno. 5 registi e 5 drammaturghi che non hanno mai lavorato insieme, associati tra loro secondo una nostra sensazione di possibile sinergia tra loro, avranno 24 ore per scegliere 5 attori a testa, formando così 5 gruppi. A ogni gruppo viene data una notizia giornalistica internazionale da rappresentare in scena, creando così una sorta di prima pagina di un quotidiano. Il risultato è uno spettacolo realizzato sotto pressione, come fossero una vera e propria redazione giornalistica, dove tutto deve essere condensato in un corto teatrale di massimo 10 minuti per gruppo, andando così a creare uno spettacolo complessivo di 50 minuti. Il meccanismo è completamente democratico, ma di una democrazia quasi spietata, perché le notizie che scegliamo vengono estratte a sorte, così come gli attori che andranno a formare i 5 gruppi di lavoro, le “cinque compagnie”.
E il pubblico vive e interagisce con lo spettacolo attraverso il filtro interpretativo che ogni gruppo ha scelto di dare a quella determinata notizia, mettendola in scena cercando di metterne in evidenza gli aspetti chiave. L’empatia che si genera con il pubblico esclude quindi la dimensione puramente Intellettuale, restituendo quel rapporto attivo con un evento che era un tempo un elemento fondante del teatro. Il principio del “se non hai capito è un po’ colpa tua” e la classica frase che senti uscito da teatro “mah, io non me ne intendo” rappresentano esattamente tutto quello che noi vogliamo evitare e allontanare dal teatro moderno. Noi siamo partiti dal presupposto che il primo principio base è che proprio la comunicazione sia chiara. Chiara significa che se racconti una storia, tutti gli elementi che racconti devono essere chiari. Non per forza esplicativi ma comprensibili, sviluppando un dialogo e non un monologo per chi fa l’intellettuale sul palco.
Gli intellettuali non piacciono a nessuno, l’abbiamo capito bene. E abbiamo capito bene anche che le lenzuolate non piacciono a nessuno. Noi qua abbiamo ancora delle cose da raccontare e lo faremo, la prossima volta però. Adesso andiamo a far serata al Birrificio di Lambrate, su.
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