Non dovrebbe essercene bisogno, ma è sempre meglio ripetersi. Fare gli scrittori non vi farà diventare automaticamente ricchi, così come andare in discoteca non vi farà automaticamente rimorchiare. È crudo, è triste, ma è così, non è corretto stare qui a illudersi. Non si campa di scrittura, ci riescono in pochi e sono poche le possibilità di diventare uno di quei pochi. E magari capita anche che ti chiami Jonas Jonasson e credi di essere diventato uno di quei pochi, vendendo un bel po' di copie di Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve, ma alla fine l'editore non ti dà una lira e tu devi portarlo in tribunale.
Come ha raccontato Francesca Modena, uno scrittore guadagna poco. Se avete ancora la fantasiosa speranza di diventare scrittori per essere riconosciuti in strada, collezionare splendide case in splendidi posti solitari, girare su belle macchine e non dovervi mai preoccupare dell'importo di una bolletta, be', cominciate a fare i conti con la realtà. Lo scrittore ricco è una figura mitologica, d'altri tempi, mentre lo scrittore squattrinato che suda in canottiera in un motel mentre mette insieme un racconto che gli serve per pagare l'affitto è l'immagine romantica di qualcosa che esiste e c'è, cioè la precarietà di un mestiere che da solo non vi basterà per darvi da mangiare. Niente scrittori puri, insomma. Scrittori e qualcosa, scegliete voi cosa.
Ma veniamo al dunque. Jonas Jonasson col suo romanzo dal 2012 ha venduto nel Regno Unito 500mila copie cartacee e 700mila copie digitali. Molto bene, champagne per festeggiare, peccato che l'editore Hesperus Press non gli ha mai pagato le royalty e ora la faccenda verrà portata alla Corte Suprema del Regno Unito. Come spiegano su Goodereader, sembra che lui non sia il solo ad aver avuto problemi con questo editore, ma le cose spesso non vanno bene neanche agli autori che si autopubblicano, ugualmente vittime dell'inadempienza di società, piattaforme e compagnie di vario genere.
L'editoria tutta è basata su dati aleatori, finte certezze e grandi incertezze. Non è solo il rapporto tra la vendita delle copie e il conseguente e sacrosanto pagamento dei diritti a essere problematico. È il dato stesso delle vendite a oscillare, gonfiato dalle fascette, accelerato dai fabiofazi e in ogni caso ribassato dalla realtà (di queste cose ne ha parlato bene qui Chiara Beretta Mazzotta). Se prendiamo il caso dell'Italia, dove l'editoria è uno dei settori più in crisi per tanti motivi, primo fra tutti l'imbarazzante percentuale dei lettori, va a finire che l'inadempienza venga considerata la normalità, o quanto meno che la normalità, cioè copie vendute regolarmente, anticipi sensati concessi regolarmente e diritti pagati regolarmente, diventi l'eccezione, la precisione di fronte a cui sospirare con disillusione e anche con un po' di sarcasmo.
E nei casi estremi può capitare che la regolarità e il successo non solo siano un'eccezione, ma anche qualcosa da guardare con sospetto (come JK Rowling che, in quanto scrittrice ricca e strapagata, danneggerebbe l'intera categoria). Insomma, le noie economiche tra scrittori ed editori ci sono da sempre e hanno scritto una storia parallela a quella della letteratura, anche della grande letteratura (negli epistolari dei migliori scrittori non è raro incontrare richieste di pagamento, lamentele e quant'altro), ma ciò non giustifica né i furbi né gli invidiosi e dovrebbe anzi ricordarci l'importanza, questa sì mitologica, della parola serietà, di recente un po' messa da parte, perché è comodo, perché c'è la crisi e perché è così. L'importante è ricordarsi e ricordare che non è così.
L'articolo Gli editori che non pagano gli scrittori sembra essere il primo su Finzioni.