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#ioleggoperché: un bilancio tra dubbi e perplessità

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Ci sono due cose che sappiamo riguardo a oggi. Che è la Giornata mondiale del libro e del diritto d'autore e che culmina/finisce #ioleggoperché. In merito all'iniziativa dell'AIE molti di voi saranno stati letteralmente bombardati di articoli, post, tweet, foto, eventi e inviti, perciò è inutile stare qui a ricordare di che si tratta, che si fa e che non si fa. Tuttavia, dato che idealmente tutti gli sforzi del progetto convergevano a questo fatidico 23 aprile, forse i tempi sono maturi per fare un bilancio e parlare di quello che #ioleggoperché non è stato e poteva essere. 

I tempi. Il progetto è stato presentato agli inizi di febbraio, insistendo molto sul maestoso spiegamento di forze, un'imponente macchina mai vista prima per dimostrare che in Italia di libri si può ancora parlare. Non sto a discutere se si tratti di un ruggito o del canto del cigno, né voglio insistere sulle impietose percentuali italiane di lettura. #ioleggoperché, però, coi suoi Messaggeri e i suoi eventi e i suoi paroloni si era prefissato un'obiettivo non da poco, grosso, ed è impensabile, da presuntuosi, pensare che con poco più di due mesi si potesse convertire (qui Andrea Coccia ragionava bene sull'assurdità del proposito di «contagiare») oltre metà della nostra popolazione di convinti non-lettori. Che li si dovesse convincere a suon di Baricco, poi, è un altro discorso. Una tempistica così stretta, però, è una furbata. Dandosi poco tempo a disposizione si mette l'accento sullo sforzo, sulla lotta contro la clessidra, e se i risultati sono mediocri ci si può auto-assolvere. In due mesi e mezzo hanno fatto anche troppo, si potrà così dire. E perché invece non dire che #ioleggoperché poteva essere spalmato nell'arco di un anno, evitando di condensare promozione ed eventi? Nell'Italia che non legge, come saprete, pullulano i festival letterari. Ormai ogni città ne ha uno, ogni mese c'è qualche posto in cui andare, qualche hashtag da spingere, qualche stand da montare. #ioleggoperché si è inserito in questa logica, non è stato un vero progetto nazionale a lunga durata. Oggi finisce e subito comincia in anticipo il Maggio dei Libri, poi c'è il Salone di Torino, a giugno Caffeina a Viterbo, a settembre il Festival di Mantova, a ottobre Bookcity di Milano, a novembre Pisa Book Festival, a dicembre Più Libri Più Liberi a Roma (segnalate quelli che ho dimenticato, eh). Peccato che, è noto, tutti questi sforzi siano attualmente inutili, così come alla fin fine sembra destinato all'inutilità #ioleggoperché. Come mai non si è avuto il coraggio di fare un'iniziativa veramente sul lungo periodo?

La promozione. Tra le tante belle cose che sono state messe in piedi (sul sito c'è tutto), ciò che doveva distinguere #ioleggoperché è la promozione della lettura attraverso i Messaggeri, crociati volontari della lettura impegnati a dare una risposta all'insensata domanda sul perché si legge, tentando di convincere i non-lettori a cambiare sponda (pur sfoggiando un gesto non proprio da vincenti). A ogni Messaggero sono stati dati in consegna 12 libri per «affidarli a qualcuno che legge poco o niente», poi via a diffondere il Verbo per l'Italia. Teoricamente l'idea non sarebbe neanche male, ma io di Messaggeri non ne ho incontrati e forse non dovevo incontrarne perché qualche libro lo leggo, ma dov'è l'Italia che non legge? Ovunque, viste le proporzioni. Quindi dove dovevano andare questi Messaggeri? Porta a porta? Negozio per negozio? Scuola per scuola? Anche qui, i tempi stretti hanno dato da subito un'impronta abbastanza disperata e confusa all'impresa, perché se per avvicinare alla lettura bastava andare in giro due mesi a distribuire libri gratis o far entrare i calciatori della serie A con la maglia #ioleggoperché, oggi a leggere almeno un libro l'anno non sarebbe il 41,4% della popolazione.  

Gli eventi. Non voglio suonare ingiusto, né troppo accanito. Apprezzo lo sforzo, davvero, ma non sarà il buonismo dell'almeno ci avete provato a tramutare le perplessità in applausi a scena aperta. L'impegno dei volontari e di tutti i professionisti che in questi due mesi e che soprattutto oggi si sono fatti in quattro per sostenere la baracca è lodevole, ma a conti fatti l'offerta di questo #ioleggoperché non è proprio da wow. Milano, Roma, Cosenza, Sassari, Vicenza e altre città ospiteranno oltre 700 eventi, ma scorrendo l'elenco la sensazione è che il salto di qualità non ci sia stato. Cosa c'è di diverso rispetto a tutto quello che si è fatto finora? Cosa giustifica l'entusiasmo e tutto il rilievo che è stato dato a questo progetto? Come detto, #ioleggoperché fallisce in partenza quando si inserisce nella logica mensile/stagionale, tappando il buco febbraio-aprile senza sforzarsi di impostare un vero e proprio programma di rieducazione alla lettura. Un programma che parte dal basso, investe mesi e anni, e che ora come ora, tra tagli e compagnia bella, non si può promettere senza provare piacere nell'ingannare la gente. Quindi non bisogna neanche tentare? Sì, si deve tentare, ma non deve essere il fatto stesso di aver tentato a giustificare una mancanza di risultati. Altrimenti non si sta tentando, si sta perdendo tempo, e lo si fa perdere agli altri. 

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