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Un’editrice per ragazzi contro l’omofobia

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Ci sono cose che io, giovane italiana dell’anno 2015, do per scontate. Come la possibilità di essere connessa perennemente a internet, la facoltà di comprare qualunque libro o vestito veda in un negozio, la pronta ed efficace azione di un farmaco su un mio male. Oppure l’opportunità e il diritto di esprimere liberamente il mio pensiero e il mio essere. E tutto questo, oltre a testimoniare una grande, a volte mal riposta, fiducia nella realtà che mi circonda, mi fa spesso perdere di vista il fatto che quello che do per scontato è frutto di una conquista. Prima del mio antibiotico per la cistite o del mio voto di donna, prima della mia edizione tascabile del Decameron, ci sono state persone, tempi, fatiche, sbagli, morti, che io nemmeno immagino.

Questo per dire che una notizia come quella per cui l’editrice russa Irina Balakhonova riceverà il 5 maggio l’annuale Jeri Laber International Freedom to Publish Award è importante. Perché? Innanzitutto stiamo parlando della donna che nel 2003 ha fondato la casa editrice Samokat, un marchio che si impegna a promuovere la produzione letteraria, russa e internazionale, per bambini e ragazzi. Una casa editrice che, dalla sua nascita, ha tradotto, pubblicato e diffuso le opere di circa un centinaio di autori di tutto il mondo ed è riconosciuta da giornalisti, librai e lettori come una delle più importanti nel settore giovani. Ma è l’impegno di Irina nel non essersi mai tirata indietro e aver preso posizione nella lotta all’omofobia che le ha fatto conquistare il premio intitolato a Jeri Laber, fondatrice di Humans Rights Watch, la più grande organizzazione americana per i diritti umani.

Di Irina infatti la decisione di pubblicare ormai due anni fa – praticamente in coincidenza con l’approvazione da parte del parlamento russo della legge contro la “promozione di orientamenti sessuali non tradizionali” verso i minori  il libro intitolato Il berretto del giullare, dove uno dei protagonisti è gay ed è costretto per questo a lasciare la Russia. L’opera, a firma dell’autrice russa (ma emigrata in Austria) Darla Wilke, racconta la storia di Grisha, un ragazzino di 14 anni che passa la vita tra gli attori di un teatro di marionette, e dell’amico e mentore Sam, che a causa dell’impossibilità di vivere serenamente la propria omosessualità deve abbandonare il paese. Come già accennato, Irina decise di pubblicare il libro proprio nel 2013, sfidando il divieto di fare "propaganda omosessuale" tra i minori, perché «qualcuno dev’essere abbastanza coraggioso da spezzare il circolo vizioso» che ci impone il silenzio di fronte alle decisioni assurde e senza giustizia. E proprio il rifiuto di Irina a piegarsi alle leggi e a una cultura che osteggia le espressioni del mondo LGBT è stato sottolineato con ammirazione da William Morrow, presidente dell’International Freedom to Publish Committee, che ha dichiarato come «il suo impegno, il suo coraggio e la sua perseveranza dovrebbero – anzi, devono essere – un esempio per tutti noi».

Perciò è chiaro che non c’è nulla di scontato se da qualche parte è ancora necessario sfidare le leggi e la cultura predominante per poter dire senza paura o vergogna «sono fatto così», o «mi piace cosà». Così come è altrettanto evidente che vincere un premio per il coraggio di non essersi nascosti – benché renda indubbiamente onore al vincitore – significa che nascondersi è ancora la condizione più sicura e normale, e questo fa pensare. 

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