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Ho letto che la differenza tra artista e artigiano sta nel fatto che il primo crea solo pezzi unici. Benvenuto Cellini, creatore d’incisioni servite a fare medaglie e monete ma anche di opere come la saliera di Francesco I di Francia, è un esempio di come si possa essere entrambi allo stesso tempo. In Letteratura, però, come si può operare una distinzione simile? Le opere dei più grandi artisti sono comunque riprodotte in più esemplari o, al contrario, ogni singola pagina, anche se simile nei contenuti ad altre che le precedono, è unica.
Personalmente ho deciso di suddividere gli scrittori secondo un altro criterio: l’artista è colui che riesce a inserire nella sua opera elementi che la rendono particolare. Non parlo solo della tecnica –anche se ci sono esempi di artisti che hanno portato la loro tecnica a livelli così alti da rendere opere d’arte qualsiasi cosa facessero – ma della profondità, dell’innovazione o del timing –alcune opere sono tali perché prodotte in un determinato periodo storico che, in qualche modo, necessitava ascoltare il messaggio che le opere trasmettono. L’artigiano è chi crea qualcosa di originale, ben fatto e apprezzabile cui, però, manca quel quid in grado di far compiere al suo lavoro il salto di qualità.
Tutto questo lungo preambolo, per raccontarvi il mio punto di vista sui racconti presenti nella raccolta di Armando Vertorano: Dindalé –conti di poco conto- ed. Go Ware.
Scrivere racconti è un’arte, la capacità di catturare l’attenzione del lettore e di colpirlo al cuore o alla mente, già richiesta agli scrittori di romanzi, deve unirsi all’abilità di sintesi, perché la storia ha un numero limitato di pagine. Anche scrivere recensioni può essere considerata un’arte, bisogna riuscire a incuriosire il lettore, fargli capire di cosa parla il libro senza svelare troppo della trama e lasciarlo, alla fine, con tutti gli elementi utili a farsi un’opinione.
Io non sono un recensore artista, quando sono inspirato, se mi va bene, sono un bravo artigiano, quindi, fosse anche solo per spirito di corpo, apprezzo molto i lavori di alto artigianato, quelli in cui si vedono l’impegno e l’amore serviti per crearli. Dindalé è una raccolta di racconti di questo tipo, non si può gridare all’opera d’arte, ma non si può nemmeno negare che sia un buon prodotto.
Scrivere racconti lascia una libertà inebriante all’autore, si può spaziare dai toni comici a quelli brillanti, dalla fantascienza al surreale con tappe nella denuncia di comportamenti o nella critica della società. Questa estrema libertà, se sfruttata a pieno, ha però il prezzo di una grande eterogeneità, è difficile riunire gli scritti in un'unica opera, trovare una linea comune. L’autore ci suggerisce una chiave di lettura tramite il titolo Dindalé, una parola usata da sua madre e sua nonna alla stregua di un chissenefrega più educato:
… in cui i personaggi si aggirano intorno a questioni apparentemente cruciali ma, a ben vedere, di assai poca importanza. Una serietà inconsapevolmente fasulla che conduce i protagonisti di queste pagine verso paradossi a volte dolorosi ma quasi sempre evitabili. Ognuno di loro, come tutti noi del resto, è convinto che il mondo ruoti attorno ai suoi problemi.
Il mondo invece quei problemi nemmeno li vede, o se proprio gli capitano sotto gli occhi, al massimo li liquida con un dindalé.
Da parte mia invece ho trovato che l’elemento del viaggio è quello più presente in queste pagine. Ovviamente non solo in senso fisico –anche se nel trasporto della Venere di Willendorf da Reggio Calabria a Vienna o nel viaggio olfattivo/uditivo del cieco a Lisbona, è facile trovarlo- ma anche nelle sue altre forme. C’è il viaggio di maturazione psicologico o quello a fari spenti nelle proprie ossessioni, ma c’è anche il viaggio del lettore, quello in cui seguiamo il protagonista dall’inizio alla fine, quello in cui arriviamo a metà oppure accompagniamo il protagonista solo per un paio di tappe.
La dimensione del viaggio, oltretutto, è quella che secondo me permette meglio di apprezzare una raccolta di racconti: puoi leggerne uno mentre aspetti di imbarcarti, quando arrivi la sera in albergo e ti serve qualcosa che ti aiuti a rilassarti, oppure quando, stanco di guardare fuori dal finestrino, ma troppo eccitato e distratto per dedicarti a una lettura impegnativa, vuoi far passare un po’ del tempo che ti divide dall’arrivo a destinazione.
In conclusione e per riallacciarmi al discorso iniziale, sono un recensore artigiano, non pretendo di aprirvi gli occhi ma spero di poter essere un piacevole compagno di viaggio, uno di quelli che si siede accanto a voi ed è capace di non disturbare troppo ma, allo stesso tempo, di essere utile.
Armando Vertorano, Dindalé, collana pesci rossi, ed. Go Ware
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