Perché niente è più radicale dell’abbandono, ma niente è più tenace di quei lacci invisibili che legano le persone le une alle altre.
Appena finito Lacci succede che lo chiudi e praticamente resti in apnea.
Si capisce da subito che non si scherza niente dentro questo libro. Il fiato mentale che applicate per leggerlo ve lo risucchia tutto e poi vi invade anche il corpo e vi ritrovate con il binomio espirazione/respirazione tutto concatenato e senza pause.
Si potrebbe elogiare la capacità di indossare i panni altrui, la forma, lo stile, la narrazione, il ritmo, la creatività delle voci differenti che portano una storia dall’inizio alla fine, il colpo di scena. Si potrebbe dire che il titolo è perfetto, i Supercoralli sono belli, l’universalità della letteratura che ti si infila nelle crepe, solite cose insomma. Si potrebbe ma non lo faremo. Faremo un’osservazione diversa che è: Lacci è un cielo di costellazioni. Un asterismo.
Un asterismo è un gruppo di stelle visibile nel cielo notturno, riconoscibile per una particolare configurazione geometrica.
Aldo un giorno se ne va dal suo matrimonio con Vanda. Se ne va da lei, dalla sua casa e dai suoi figli. Raggiunge un'altra vita altrove. Rompe l'accordo di una vita che doveva essere tutta in fila, insieme, nella stessa direzione. Rompe le fila con convinzione. Fugge. Poi torna sui suoi passi, ma da tempo è già tardi per tutti.
Lacci è un fatto di geometria per certi versi. La geometria particolare di una storia in cui ci sono un uomo, una donna e dei figli. La geometria di un matrimonio, smontato e rimontato. Geometria delle scelte che collegano prima dei punti poi degli altri e poi si torna al prima; gente che si interroga sulle connessioni modificate, su queste linee un po' matte che si spostano nel tempo. E si può fare perché si ritorna alla stessa costruzione, alla costellazione iniziale, alla scena con gli stessi attori che cercano di fare la stessa costellazione ma con delle luci rotte ed è orribile. Terribile. C'è qualcosa di disfatto eppure si torna alle posizioni, tutti immobili apparentemente, a formare la stessa figura, caricandosi di luce accesa in modo sbagliato, che illumina storto.
Si tende a riservare la parola a gruppi di stelle poco numerosi apparenti, resi tali solo dalla prospettiva, e non fisicamente collegati.
Ci sono polaroid dell'amante conservate in gran segreto nello studio di Aldo, lettere feroci di Vanda anni prima e una rabbia, la rabbia enorme che pervade tutte le persone quando sono costrette a stare dove non vogliono per disegni imposti. Ci sono legami, linee di collegamento, a volte, che invece che evolvere fanno da gabbie per mantenersi asterismi identici. Questo il fatto: una costellazione scenica. E una costellazione strutturale, dove ogni punto luminoso della storia, ogni personaggio della costellazione, dice la sua, racconta la versione, dice perché sta scomodo, lì nel suo punto.
Ma sugli asterismi ci si interroga il giusto, al limite si cercano e poi si ammirano perché la verità non c'è. Non ci sono idee da farsi. Io ci ho provato a incazzarmi insieme a lei e poi a dare ragione a lui, ma niente. Quando sono arrivata ai figli ero già consapevole che non avrebbe funzionato questo approccio, che non mi importava nulla di dare ragione, agli atti era impraticabile, in una storia che ci vede così bene. Forse le storie sono questo, sono i lacci che legano, sono i legami che dicono. Sono asterismi che comprendono le stelle, il cielo, le figure geometriche. E si sta lì a osservare un disegno. E più è fatto bene, più te ne stai in silenzio. Non si sta dalla parte di nessuno, si ammira. Non ci sono le parole, te le toglie. In un libro scritto così, il fatto che solo può importare, per cui vorresti essere di nuovo a centotrentatre pagine prima, è averlo letto.
Touché.
Per riassumere.
Domenico Starnone, Lacci, Einaudi, 2014.
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