photo credit: Piazzadigitale
Nelle ultime settimane mi sono ritrovata spesso ad ascoltare un album che si chiama Early in the morning ed è di un cantante scozzese, James Vincent McMorrow, che incarna un po’ la musica che piace a me, e che io definisco chitarrinebanjotristezzaefalse ttoallaboniver. Ogni volta che ascolto questo album mi immagino nella vita dei miei sogni, con una camicia a quadri in una casa di montagna, da qualche parte nel Québec; una casa col tetto spiovente e la staccionata ridipinta ogni primavera, un cane, la legna accatastata sul retro, pronta per essere usata d’inverno in una stufa alla quale tendere le mani appena rientrati a casa. Mi immagino una cucina che dà a est, con una grande finestra che fa entrare il sole, e una luce che rende calda l’aria e ogni cosa.

Grace Paley, Peter Orner, Alice Munro, Francis Scott Fitzgerald, Flannery O’Connor. Sono solo alcuni degli autori che Cognetti tira fuori da una scatola e mette sulla tovaglia. Ognuno con una propria storia (personale) e un modo diverso di raccontare storie (degli altri); ognuno con dinamiche sue proprie e segreti, fili rossi che tengono insieme le cose.
Cognetti li ha guardati, letti, capiti, interpretati, studiati, accantonati, ripresi, riletti, capiti in un modo nuovo e diverso. E si mette a raccontarci, con il suo stile, tutto quello che ha capito e provato. Una storia fuori dalle storie; una storia che di quelle storie si è però nutrita, senza le quali non sarebbe possibile esistere.
Ecco, Paolo Cognetti ha scritto un libro che parla di racconti, del piacere di leggerli e di come funzionano, cosa ci si può trovare dentro, cosa ci possono insegnare e di quanto possa essere difficile scriverli. E continua la storia di Sofia, una parte della sua vita; ci aggiunge dettagli e angolazioni, ci regala una sua nuova passeggiata.
Cosa c’entra la pace con la narrativa? Probabilmente quasi niente; le storie dovrebbero anzi smuovere, scombussolare, agitare. Ecco, questo libro smuove e scombussola un sacco di cose, fa venire voglia, soprattutto, di leggere un sacco di racconti e di finirla con il pensare che siano per chi non sa scrivere romanzi. Eppure quanta pace mette. Come se ogni cosa fosse immobile nel suo posto perfetto, dopo aver vagato a lungo.
Mi sembrava, appunto, di stare nella mia casa immaginaria sul fiume, in pigiama, con una tazza di caffè e un album di James Vincent McMorrow a fare da sottofondo, e di avere Paolo Cognetti che mi raccontava di certe vite, e certi fiumi.
Ecco un’altra meraviglia della narrativa: Paolo Cognetti non mi sembra un tizio particolarmente socievole, eppure eccolo lì a raccontarmi una storia bellissima. Con un sorriso, anche.
Pensa che magia.

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